9 novembre 2011

Melancholia (Lars Von Trier, 2011): 2/2 Claire

La razionalità distanzia Claire dalla sorella. La vita mondana, il desiderio di unirsi agli altri per stare in società, essere avveduta e magari attendere la fine bevendo un bicchiere di vino, la mette in sintonia con la frantumazione geometrica. L’assenza della terza dimensione degli astrattisti è per lei un’assenza e basta. Il mondo sembra uniforme, controllabile, il paesaggio antropico naturale, la metafisica un bisogno da alimentare, la mondanità, la proiezione di una società, che dal suo nido sembra lontanissima, essenziale. A mano a mano che il desiderio distruttivo della sorella depressa prende consistenza e il suo mondo perfetto vacilla, Claire inizia a perdere la calma. Riesce lentamente a notare la debolezza della figura, “lo stato delle cose”. Il “reale”, che osservato dall’interno di una società ingessata sembrava compatto, inattaccabile, adesso comincia a dissolversi mostrando l’assenza di messaggi, la nullità di arbitrarie norme calate dall’alto. Il dissolvimento dell’apparenza svela proprio quelle immagini geometriche che hanno esorcizzato il pericolo della figura, ossia il rischio di rimanere invischiati in un giudizio sul mondo legato a replicati luoghi comuni, o meglio,  che hanno da tempo abbandonato l’imitazione dei materiali per avvicinarsi alla ricerca di una forma pura in cui mondo e sentimento possano abbracciarsi o respingersi. L’apparenza è una materia fragile, spacciata per verità e armonia reiterata, che occupa menti affascinate dalla superficialità di una rappresentazione di mondo.  La formalità della società, il bon ton, il rispetto per la malattia di Justine, considerata come una bimba da accudire, da aiutare, a cui organizzare un matrimonio magari con l’illusione di renderla felice, sono valori ancestrali incapaci di riempire una vita. Il percorso di Claire procede in modo diametralmente opposto a quello di Justine. Lei che vive in un mondo già disintegrato da Melancholia, al contrario di una Justine in grado di recuperare la sua serenità interiore, non si rende conto di quando sia avvenuto l’impatto. Allorché si presenta l’evento tragico, Claire vede  le geometrie taglienti e scarne, prive di sostanza, che si mostrano in tutta la loro immediatezza e finalmente si rende conto che il suo mondo era solo apparentemente unitario. La sua è una vera e propria presa di coscienza, una forma di conoscenza , una rivelazione che la conduce all’isteria. Le due sorelle vivono in due dimensioni differenti, due mondi paralleli che  si incontrano per un attimo in un luogo neutro, un possente nucleo spazio-temporale, una sorta di immagine-tempo collimante con il più alto momento drammatico del film, uno spannung temporale che sancisce dentro la “grotta magica”, costruita al di là del tempo e dello spazio, l’avvenuta empatia tra le due sorelle, momento-luogo in cui possono veramente incontrarsi e capirsi. È un ambiente magico e pertanto capace di unire due epoche diverse, due istanti in cui Justine/Claire libera la propria umanità: Justine attraverso la veggenza di una pittura figurativa giunta agli apici della sua freschezza (con il ritorno delle transavanguardie  figurative come della Pittura Colta, tra cui l’Anacronismo ad esempio di Carlo Maria Mariani, la figura ha perso la sua originale purezza assestandosi nella storia dell’arte come  scelta di una fuga dal concetto per  un ritorno all’oggetto); Claire attraverso la comprensione simultanea del dopo e del prima da lei vissuti “ciecamente”. Solo qui, in questo limbo immune da Melancholia, in compagnia dell’innocenza (il figlio di Claire) si crea una catena magica in grado di unire il prima e il dopo, i prodromi con il compimento, i percorsi intrecciati di due sorelle capaci di ritrovarsi solo nell’attimo cruciale della morte di ogni certezza, formando, nella capanna magica, un’unica sostanza, una nuova trinità capace di unire e sprigionare tutto l’amore perduto ancora salvabile.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

La capanna magica è una delle cose più potenti viste ultimamente al cinema. Ma proprio tutta la sequenza finale, che mi è rimasta ancora negli occhi.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Sono d'accordo con te. Una sequenza finale di grande impatto visivo ed emotivo. Un momento di grandissimo cinema.

Luigi87 ha detto...

ciao, seguo sempre il tuo blog (sono tra i lettori fissi). ogni tanto, se ti va, passa anche sul mio. ho aperto anche la pagina fb:
https://www.facebook.com/pages/Letteratura-Cinema/274994392537642

a presto. ciao ciao

Luciano ha detto...

@Luigi87. Anch'io (anche se non sembra) seguo il tuo come tutti i blog della lista (e altre altri che non sono nel io blogroll). Purtroppo è un periodo in cui non ho tempo a sufficienza neppure per accedere a internet. Ma non mi dimentico di nessuno. Eccome se mi va! A presto^^

Roberto Bernabò ha detto...

Film di portata enorme. Una vera opera d'arte.

Il mio post ho cercato di analizzare la relazione tra significanti e significati e i riferimenti a cui Lars si è rifatto.

Grande opera.

Se interessa il mio post è qui (riapro per l'occasione lo spazio commenti.

;-)

Rob.

Luciano ha detto...

@Roberto Bernabò. Ho letto il tuo stupendo post sul film. Conto di leggerlo ancora e postare un commento (spero sia ancora possibile farlo).