27 aprile 2011

Linea d'ombra-Festival Culture giovani: 2/4 Corto Europa

Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.




Io sono qui (di Mario Piredda, Italia 2010)

Giovanni Asara decide di lasciare la Sardegna e gli amici per arruolarsi con l’esercito in Kossovo. Non sempre, però, il futuro è roseo come nelle previsioni…

Montaggio notevole, recitazione di buona qualità, messaggio del film preciso e inequivocabile, ma anche e soprattutto molti altri sottotesti (noia, povertà, parallelismo Sardegna Kossovo ecc.). Bellissimo l'epilogo con il pupazzo del biliardino che affonda nel mare. Un corto all'altezza dei migliori di questo festival da me visti fino a questo momento.

Voto: 5 (ottimo)

I guai che ha combinato l’uranio ufficialmente impoverito e pertanto innocuo viene espresso bene in un corto che riesce a legare la noia di giorni tutti uguali trascorsi da un gruppo di amici sotto il sole della Sardegna giocando a biliardino oppure correndo sulla spiaggia o cercando di far scorrere il tempo in attesa di un evento improbabile che li distolga dalla noia della povertà. L’evento arriva con la partenza di Giovanni che si arruola volontario per il Kossovo allo scopo di guadagnare qualcosa per vivere. Le immagini del Kossovo e della Sardegna si susseguono in un montaggio alternato come per legare insieme due regioni del mondo che non hanno niente da chiedere se non la loro stessa speranza di vita, ma la vita che si spegne contribuisce a mostrare la disperazione di due mondi lontani eppure allo stesso tempo vicini come deformati in un unico paesaggio. Così il grigio preponderante del Kossovo non è tanto più grigio dei colori che inondano il paesaggio assolato della bellissima terra che fu di Arborea. E Giovanni vivrà sempre nei cuori degli amici e nuoterà nel mare fresco e trasparente visto dai compagni di noia come pupazzetto-giocatore del biliardino, staccato dal suo contesto, ma sempre presente nei loro ricordi, idealizzato come presenza inequivocabile a dispetto dell’odio e della follia di un potere che regala false certezze. Un corto bellissimo che cresce sempre di più dentro di me. Se avessi potuto avrei votato con un 5 e lode.


Kung Bao Chicken (di Bin Chuen Choi, Germania 2010)

Zhang Wei, un giovane cuoco cinese, arriva in Germania per lavorare in un piccolo ristorante cinese di Hannover. Ben presto, tuttavia, si rende conto chela "cucina cinese" in Germania è molto diversa da quella che ha imparato a casa. E il suo capo non sembra apprezzare il suo stile. Così decide di servire segretamente l'autentica cucina cinese ad un ospite abituale.

Film gradevole e a momenti divertente ma un po' piatto e inconcludente. Riprese troppo scontate e recitazione nella media

Voto 2 (scarso)

La storia di un cuoco che vuole cucinare la “vera cucina cinese” dovrebbe essere curata con una regia robusta attraverso invenzioni e riprese che caratterizzino i momenti salienti. La donna che viene tutti i giorni ad assaggiare le leccornie cinesi non dovrebbe essere solo un avventore-cavia, un “gastronomo” su cui sperimentare il proprio punto di vista (il proprio modo di cucinare), ma una funzione per connettersi (in quanto di cultura tedesca) agli aspetti salienti della cultura cinese. Invece la storia si sviluppa piattamente fino all’epilogo come fosse una qualsiasi ripresa girata in un ristorante, senza neppure possedere il pathos di una qualsiasi cucina (cinese o meno) di un reale ristorante con le corse e l’affanno dei cuochi, i loro errori o magari le loro “vendette”. Qui non c’è neppure la soddisfazione di scoprire il segreto delle ricette, con i cibi mostrati come fossero nature morte mal dipinte. Unica sequenza interessante: il dialogo attraverso il vocabolario tra il cuoco cinese e la donna al tavolo.


L’eclissi di fine stagione (di Vito Palmieri, Italia 2010)

Una coppia di albanesi, che lavora da anni in Italia, si trova in una giornata particolare a vivere una piccola ma significativa rivincita.

In complesso un buon lavoro, anche divertente. Buona regia e sceneggiatura. Molto bella l'immagine finale con i modellini delle macchinine, ma che purtroppo avalla un epilogo stereotipato.

Voto 3 (sufficiente)

Il corto è girato molto bene e con una regia molto curata. Interessante la sequenza sulla barca che scivola lenta sul mare per la piena soddisfazione di una coppia di albanesi, marito e moglie, che possono vivere e rinverdire il loro amore nella magia di un tramonto diverso. Purtroppo il resto del film è meno curato e si risolve in un epilogo evanescente (l’uomo regala tante macchinine al bambino) che mi ha lasciato un po’ perplesso in quanto mi sarei aspettato (visto anche il titolo) un mondo inondato dalla magia. Invece rimane solo un epilogo prevedibile di un rapporto uomo-bambino abbandonato a se stesso, senza passione, senza nemmeno un abbozzo di analisi caratteriale del piccolo, assimilabile più ai suoi modellini di auto che a un bimbo lasciato vegetare su una panchina.


Le piano (di Lévon Minasian, Francia, Armenia 2010)

Il terribile terremoto che ha colpito l'Armenia nel 1988 distrusse la città di Leninakan. Dodici anni dopo, Loussiné, una ragazza orfana, è una pianista di talento. Per consentirle di prepararsi in vista di un concorso internazionale, il Ministero della Cultura le mette a disposizione un pianoforte. Ma il ricovero temporaneo dove vive con suo nonno è troppo piccolo.

Anche per me un corto molto piacevole e divertente, ma che rimane sospeso in un limbo. Mi sarei aspettato meno lungaggini (le scene dei ragazzi e dei facchini magari da togliere e almeno una sequenza con incontro più approfondito tra Loussiné e il ragazzino).

Voto 3 (sufficiente)

La storia è molto interessante e girata bene, film gradevole da vedere. Ma sembra una via di mezzo tra uno sketch e una storia alla De Amicis, con Gakik scambiato per un teppista (mentre al contrario voleva solo difendere il pianoforte rimasto all’aperto da un gruppo di ragazzini pronti a danneggiarlo) che nell’epilogo si reca all’auditorium di Yerevan per portare dei fiori a Loussiné. Il loro rapporto non viene approfondito rimanendo sospeso in un limbo vago e non esaustivo. La storia sembra una cronaca di un successo, soprattutto quello di Loussiné che riesce a suonare ad Yerevan nonostante le peripezie e i rischi corsi dal pianoforte nel stare all’aperto, mentre Gakik ottiene il suo momento quando viene inquadrato dalla tv nell’atto gentile di consegnare i fiori alla sua adorata. Profumo di soap opera, purtroppo.


L’isola di Savino (di Giacomo del Buono, Italia, 2010)

In un paesino dell’Italia meridionale si svolgono i preparativi della processione del santo patrono, quando una barca di clandestini approda sulla costa. Questo evento farà conoscere due bambini appartenenti a realtà totalmente diverse.

Il film si sofferma troppo su immagini che sembrano spot per turisti, la sceneggiatura risulta inconsistente e il rapporto tra i due ragazzi non è approfondito (il regista poteva ridurre al minimo indispensabile i preparativi della manifestazione) .

Voto 2 (scarso)

Sembra uno di quei filmati commissionati da un’azienda di turismo regionale per pubblicizzare le bellezze del luogo: paesaggio, cibo, cultura, fiere, manifestazioni. Mentre al rapporto tra Mic, profugo clandestino arrivato dal mare, e Savino sono state dedicate poche sequenze non esaustive, lasciando andare il film alla deriva, abbandonato a se stesso. Non c’è traccia della storia di Mic, che si spaccia per un pirata dalle mille avventure in cerca di un tesoro, mentre è soltanto un povero ragazzo che porta le cicatrici della violenza della guerra e che verrà fermato dalla guardia costiera, deludendo in tal modo il piccolo Savino fino a quel momento affabulato dai suoi racconti. Al di là della delusione di Savino resta l’amaro in bocca per una sceneggiatura che ha dedicato così poco spazio a un personaggio secondo me fondamentale e meritevole di essere approfondito. Invece il regista ha preferito intrattenerci con tante estenuanti riprese della festa paesana.


Manolo (di Robert Boherer, Germania, 2010)

Sua madre lo vuole fuori di casa, suo cugino lo vuole fuori dai piedi e Linda, la principessa di questa estate vuole qualcosa di più…In un pomeriggio di sole in piscina Manolo, 12 anni, deve affrontare le sue paure.

Cortometraggio gradevole e ben confezionato, molto professionale. Inquadrature perfette. Denota grandi capacità di regia. Complimenti a Robert Boherer.

Voto 4 (buono)

Molta professionalità in questo corto. Mi è piaciuto il dolly (Jimmy Jib?) dell’incipit che mostra Manolo su una piattaforma posta dieci metri sopra la piscina in attesa di tuffarsi, incipit che rivedremo nell’epilogo della storia. Manolo non è gradito dal cugino dal fisco perfetto che contrasta con il suo. Eppure il ragazzino trascorrerà una giornata particolare che definirei simbolica in quanto i suoi rapporti con gli altri personaggi sintetizzano le esperienze comuni che un ragazzo non bello e non in forma deve affrontare per diventare adulto. In primis il rapporto con la bella ragazza, più grande di lui, desiderata da suo cugino, ma soprattutto con il tuffo finale da un’altezza mozzafiato che il ragazzino riuscirà a superare esorcizzando la sue paure. Sarà pronto per nuotare (o affogare) nel piccolo specchio perfido della vita. Sono stato a lungo indeciso se dare il massimo dei voti ma poi ho optato per un “buono” perché avrei preferito una maggiore attenzione nel rapporto a tre tra Manolo, la bella ragazza e suo cugino, che non è stato curato a sufficienza anche se ciò non esclude che il film sia un ottimo lavoro. Una grande prova di regia e movimenti di macchina superbi.


Mi amigo invisible (di Pablo Larcuen, Spagna, 2010)

Tomas soffre di timidezza patologica e la sua voce sgradevole ci porta direttamente nella sua vita quotidiana, fatta di solitudine e pasti in famiglia, con gli occhi bassi, e un malessere condiviso. Quando un (improbabile) amico immaginario bussa alla sua porta, la prima reazione è di fastidio. Tra Star Wars, videogiochi, fumetti porno, Hulk Hogan e X Generation, Mi Amigo Invisibile è il tributo migliore possibile per le commedie teenager degli anni 80.

Ottima regia e fotografia. Film dinamico che ricostruisce l'immaginario anni 80 con convinzione. Invisibilità di un mondo assemblato dalla mente con cui è impossibile interagire ma che è potenzialmente ricostruibile. Montaggio ineccepibile. In altre parole: perfetto.

Voto 5 (ottimo)

Probabilmente il miglior corto della rassegna. Non a caso ha vinto ex aequo con Intercambio il premio Corto Europa e ha ottenuto una menzione speciale quale corto più votato dalla giuria web per Corto Europa. L’ho rivisto ancora e devo ammettere che è un film ottimo e anzi secondo me il massimo dei voti gli sta pure stretto. Durante la visione, un giorno prima che il festival si concludesse (era possibile votare i cortometraggi fino alle ore 22,00 del 16 aprile) ritenevo Mi amigo invisible forse un tantino inferiore a Io sono qui, ma dopo averlo rivisto mi sono reso conto che è il migliore della rassegna. Oltre al plot (poco più di dieci minuti del timidissimo Tomas che confessa il suo disagio prima e racconta la sua esperienza con l’amico invisibile poi) le riprese sono precise e dinamiche e ricostruiscono un vintage anni ottanta superlativo (fumetti, videogioco, cassette vhs, musica). Un ritmo e un equilibrio tra storia e discorso di incredibile raffinatezza, un piccolo gioiello che deve essere assolutamente visto.


Na wéwé (di Ivan Goldschmidt, Belgio, Burundi, 2010)

1994: c'è la guerra civile in Burundi, un piccolo paese dell'Africa centrale direttamente confinanti con il Ruanda. La lotta oppone i ribelli hutu composta prevalentemente da etnie e di un esercito nazionale con la maggioranza dei tutsi. Questo cortometraggio racconta un episodio tristemente frequente di questo conflitto fratricida: l'attacco da parte dei ribelli di un minivan. Un Kalashnikov spara. L'autobus si ferma, i passeggeri scendono. Una voce grida: "Hutu a sinistra, tutsi a destra!" La selezione inizia. Ma chi è un Hutu, e che è Tutsi?

Non deve essere stato semplice girare un film divertente e che lascia allo stesso tempo col fiato sospeso. Girato magistralmente cattura lo sguardo senza cadere mai in banalità o luoghi comuni, facendo riflettere sull’assurdità e l’inutilità della guerra. Bello.

Voto 4 (buono)

Il dramma di una guerra fratricida narrata innestando la tragedia in un episodio mostrato come una commedia anche divertente, eppure quella linea segnata per la strada alla cui destra e sinistra si devono mettere in fila i Tutsi e gli Hutu, per cui questo “muro” diventa un confine che può definire una condanna a morte oppure una salvezza, quella maledetta linea diventa un limite oltre il quale si spegne la speranza mentre la normalità della vita quotidiana vi urta contro. Improvvisamente la “linea” assume un’importanza capitale e decidere in un attimo cosa fare, da quale parte porsi, diventa un incubo, come tirare a sorte un numero o giocare alla roulette russa, sperando di avere fortuna. Il film mi è piaciuto soprattutto per la soluzione trovata dal gruppo di persone che devono effettuare la scelta. Allo scopo di evitare una probabile esecuzione da parte dei soldati i personaggi cercano in tutti modi di rimanere nel mezzo, ossia di rinunciare al gioco. L’umanità che scaturisce dai dialoghi e dai comportamenti del gruppo “occupa” lo schermo attraversando con ironia il pericolo e la forza del potere sempre e comunque legato alla propria stupidità. Bravissimi interpreti e breve spaccato di un’atroce domanda: sono Hutu o Tutsi? O semplicemente esseri umani?


Nach der Jahren (di Josephin Links, Germania, 2010)

Un tempo una famiglia trascorreva le vacanze insieme. Ormai le figlie sono cresciute, i genitori hanno divorziato e la casetta di legno sul lago, deve essere svuotata per i nuovi proprietari. I componenti di quella che una volta era una famiglia, si riuniscono di nuovo per un intero fine settimana. I ricordi, sono molto più vicini di quanto pensassero. Ora, non solo devono dire addio alla loro casa delle vacanze, ma anche all'infanzia e ad un vecchio amore.

Un modo di fare cinema che mi piace molto: soprattutto le lunghe inquadrature che non "rallentano" il film ma lo completano, lo rendono (se bene assemblate) più "sensibile". Indimenticabile la lunga inquadratura fissa delle sorelle a letto con i rumori fuori campo.

Voto 4 (buono)

Uno stile gradevole con lunghe inquadrature fisse e location con casa sul lago molto romantica, adatta a sottolineare il sentimento di nostalgia evocato dal film. Ricordi di una famiglia che si ritrova dopo molti anni; le cose potrebbero essere cambiate, per un attimo sembra che tutto torni a posto, ma non è possibile tornare indietro. Il tempo ha lasciato i segni e alla fine ognuno se ne va per la sua strada. I ricordi vanno pesati nel silenzio della propria intimità altrimenti potrebbero alimentare una reminescenza che illude di potere ricominciare: ma un nuovo inizio non servirebbe a ricomporre l’esito di un ricordo.


Omero bello di nonna (di Marco Chiarini, Italia, 2010)

Omero vive con la nonna in una bella casa che la sua mente infantile riempie di creature fantastiche e mirabolanti avventure. La Nonna di Omero una mattina dimentica di prendere le pillole e durante il pranzo si sente male; a lanciare l'allarme e salvarla è il suo Omero che deve lasciare la casa che lo protegge e affrontare la sua più grande paura: un mondo in cui la tromba delle scale si trasforma in rapide terribili, il vicino è un terribile squalo-riccio e la donna delle pulizie un misterioso, poliglotta, uccello del paradiso.

Film riuscito, emozionante, appassionante. Gradevole l'animazione degli oggetti e dei disegni. Una bella sorpresa. Ottima interpretazione di Nocella.

Voto 4 (buono)

Film in stile Gondry (L’arte del sogno), come giustamente fatto notare da molti commentatori, con oggetti animati e disegni che mostrano l’immaginario di Omero per il quale l’appartamento di casa è un mondo intero per cui la spillatrice è una balena, un gomitolo di carta un granchio e il suo sguardo-immaginazione una sorta di periscopio a raggi x che riesce a vedere la nonna oltre la porta del bagno. La protezione della casa viene meno quando la nonna si sente male e Omero è costretto a uscire di casa, ma il semplice percorso dal pianerottolo all’uscita posta in basso diventa un’avventura in quanto Omero dovrà nuotare in un mare con enormi onde di stoffa con pescecane compreso, tapis roulant movimentato che lo trascinerà affannato sino al cospetto della donna delle pulizie, salvando così la nonna.

2 commenti:

Tizyana ha detto...

Ciao, blog interessante, ti seguo.

Luciano ha detto...

@Tizyana. La notizia mi fa molto piacere. Corro subito a ricambiare inserendomi tra i tuoi follower. Grazie^^