2 febbraio 2011

My son my son, what have ye done (Werner Herzog, 2009)

L’atmosfera della tragedia greca che si respira nel film è evidenziata dal racconto di Lee, amico di Brad, interrogato dal detective Havenhurst. Per sottolineare il decadimento dell’equilibrio mentale di Brad, il flash back del racconto di Lee, regista di una tragedia in allestimento: l’Elettra di Sofocle(1) (in cui recitano anche Brad e la sua fidanzata Ingrid), mostra la compagnia che sta provando a teatro. Gli attori portano costumi appropriati, presumibilmente quelli indossati dai coreuti, mentre Brad si ostina a recitare la parte di Oreste con il suo poncho peruviano, reliquia del recente viaggio che lo ha trasformato profondamente facendogli credere di essere in contatto diretto con Dio. La follia di Oreste che uccide la madre Clitennestra si compenetra nel plot principale e lo pervade sin nella sua struttura più profonda affiorando come unico aspetto da indagare. I racconti di Ingrid e di Lee, che emergono dall’interrogatorio di Havenhurst, perdono la loro importanza rivelatrice in quanto l’Elettra è un’opera conosciuta ma soprattutto non modificabile. In verità Brad tenta vanamente di apportare modifiche alla storia tagliando battute, indossando vestiti non appropriati (anche se non meno falsi di quelli indossati dal coro e dagli interpreti della tragedia), utilizzando una spada vera (pertanto in quanto arma sinonimo di pericolo e offesa), ma allo stesso tempo falsa o almeno non idonea ai fini del suo utilizzo sul palcoscenico. Questi motivi meriterebbero da soli un ulteriore approfondimento ma qui interessa mettere in evidenza come la verosimiglianza delle storie (il plot di My son my son, what have ye done, la storia dell’Elettra come quella della mitologia – la stirpe che da Tantalo porta a Oreste – raccontata ai suoi attori da Lee nelle vesti di regista, ma anche il racconto dello zio Ted del gallo più alto del piccolo cavallo cavalcato dal nano), sia il prodotto di funzioni codificate nel Mito. Quindi il “gioco” portato avanti da Herzog si esplica nell’alienare il racconto, o meglio, nel mostrare una storia vista da una distanza abissale: la storia non scorre per attirare l’attenzione di un pubblico, ma per avvicinare il pubblico alla rappresentazione in sé. A parte l’importanza del doppio all’interno del film (Oreste-Brad, Clitennestra-Signora McCullum, ma anche Elettra-Ingrid (2), Regista-detective che controllano la “piazza”, pubblico al teatro e pubblico in strada ad osservare l’accerchiamento della polizia, ostaggi-fenicotteri), ciò che mi ha più incuriosito è uno squilibrio evidente nell’interrompere il cerchio delle similitudini (storia di Brad-Elettra) tramite almeno due modi molto diversi ma convergenti di lavorare il materiale filmico.

Disturbi disarmonici del plot
Sono molti e probabilmente non li ho visti tutti, ma sono rimasto colpito dagli ostaggi identificabili nei fenicotteri, che nel plot vengono salvati (ma in realtà non hanno mai corso pericoli) anche se un fenicottero di gomma schiacciato su una corteccia d’albero, in una sorta di fiction nella fiction, viene gettato fuori dal garage come fosse stato giustiziato. Allo stesso modo l’omicidio già avvenuto non interessa come momento topico del film, ma come indice di un utilizzo improprio di un’arma non adatta: la madre infatti confida all’amica il tentativo di omicidio del figlio che ha cercato di soffocarla con un cuscino. Ma la madre deve essere uccisa come personaggio dell’Elettra, così come le amiche dovrebbero tentare di proteggerla con una mazza che Brad cerca loro di consegnare. La mazza da baseball, surrogato di speranza (“…uccidimi prima che succeda…”), diventa componente di un altro sottotesto che potrei definire “sportivo” (il rafting in Perù , il pallone da basket abbandonato sull’albero). C’è poi ad esempio un sottotesto “musicale” (piano, batteria, musicisti messicani, il coro che recita l’Elettra) che interrompe il plot e non solo. Pertanto non stiamo vedendo soltanto un film che fonde una storia conclusa, antica, con un evento in fieri; lo sguardo assiste al tentativo di fare implodere il racconto in una costellazione di informazioni parcellizzate (la realtà è un racconto irraccontabile).

Interruzioni della diegesi

L’immagine di un mondo, come degli eventi che vi si svolgono, non deve essere uno stereotipo da depliant distribuito nelle agenzie turistiche. Pertanto lo spazio (ma in questo caso sarebbe meglio definirlo: gli spazi) non è unitario, regolato, catalogabile. Mostrato nella sua distanza di un paesaggio visto dal basso, in cui un treno attraversa il fotogramma da parte a parte, si parcellizza lungo l’arco della storia in mille rivoli mostrandosi come avamposto di una perdita di identità. Il paesaggio desertico visto da lontano (che mi ricorda il cinema di Antonioni), non prende il sopravvento, non è il corrispettivo, l’equazione data, di un senso già evoluto in “paesaggio rude desertico-anima violenta del mondo”: è solo un paesaggio, un contenitore come altri, così come lo è la bellezza di San Diego osservata dal grande parco con vista sul tapis roulant delle autostrade complete di auto sfreccianti. Anche la natura estrema del Perù, con la sua foresta e i suoi fiumi che si gettano a capofitto tra le rocce nere formando cascate e rapide, non rappresenta un pericolo. In fondo, anche se Brad è tornato trasformato da questo viaggio, Dio appare in cucina nell’icona di un quacchero impressa su una lattina di farina d’avena buttata fuori dal garage come primo ostaggio giustiziato. Brad afferma di avere visto Dio in cucina sin da piccolo, sconfessando quindi l’idea che il Perù e la natura selvaggia possano in qualche modo influenzare l’anima del viaggiatore fino a portarlo a una eventuale redenzione. Lo spazio pertanto s’inscatola in altri spazi e i primi piani di volti cinesi irrompono, ad esempio, come icone della Differenza, ossia dell’alterità, in una sorta di extratemporalità, di un fuori dal tempo che sospende la sensazione di unitarietà, dove unica certezza è il frammento come senso estetico di un mondo già imploso(3); il movimento si confonde, assumendo forme e direzioni improbabili o eventuali (Brad che rimane fermo sulla scala mobile scendendo alla stessa velocità con cui i gradini si muovono verso l’alto); il movimento, lo scorrere degli eventi nel quadro, può anche congelarsi in un frame-stop che definirei plastico, in quanto lo sguardo non scorge un “vero” fermo immagine, ma assiste a una sorta di congelamento dei personaggi che rallentano o si bloccano (ricordando anche la plasticità con cui si muove il coro nella pièce di Sofocle) creando una sorta di tableau vivant, un quadro dipinto e non una fotografia. Questi tableaux vivants (la signora McCullum immobile col dito sul piano; Brad, sua madre e Ingrid a tavola che “bloccano” i movimenti davanti a un piatto disgustoso di gelatina marrone; ma soprattutto l’immagine di Brad, lo zio Ted e il nano immobili nel bosco) comprimono lo spazio congelandolo nell’attimo, trascinano lo spazio all’interno del tempo. Persino i movimenti dei poliziotti sono rallentati, come camminassero su un palcoscenico, e soprattutto le “comparse” (gli agenti che stanno dietro le auto con le armi in pugno puntate verso la villetta di Brad) rimangono come immobili in attesa dell’epilogo del film. Un'inquadratura mostra Brad che osserva l'avvento del tempo o meglio la sua perdita, mostra la prospettiva di uno spazio accucciato in alto, tra le vetrate che l’occhio distratto non potrebbe vedere se non rimanendo sospeso sulla scala mobile per osservare il tunnel dell’aeroporto di Calgary definito da Brad “tunnel del tempo”. La perdita del tempo coincide alla fine con il congelamento del movimento in uno spazio: l’attimo che ne esce è un momento di pittura, è arte, simbolo di un disagio, una sospensione che accompagna la musica extradiegetica di Caetano Veloso. La diegesi viene messa in crisi ma anche disturbata dalla musica che non si evidenzia come diegetica o extradiegetica in quanto Herzog si “diverte” a confondere lo sguardo e pertanto a ingannare anche l’udito cambiando in ogni momento il punto di riferimento. Così quando Brad butta fuori dal garage la radio, la musica si fa diegetica: eppure potrebbe anche non esserlo, perché così distante sembra lo sguardo che inquadra i poliziotti immobili sulla strada con le mani alzate. Il pubblico in sala può essere definito fruitore ultimo che “ode” sempre e comunque, ma quando nella hall del teatro il pianista si alza dal piano che sta suonando, lo spettatore scopre che la musica diegetica (appena viene inquadrato l’uomo seduto al piano), poi extradiegetica (quando il pianista si alza dal piano), ritorna a essere diegetica nel momento in cui il PP dei tasti, che si abbassano e si alzano da soli, sottolinea un particolare che uno sguardo attento avrebbe potuto notare anche nel campo lungo precedente. In apparenza nulla è mutato, anche se lo sguardo ha seguito un percorso del Falso (4), si è inabissato sotto la superficie magica del cinema assaporando il sapore di una rivelazione critica. In realtà la musica non ha percorso un viaggio dal diegetico all’extradiegetico e viceversa, ma è rimasta nel diegetico. O meglio: è rimasta nel plot, ma dal momento in cui lo spettatore è stato ingannato, il percorso diegesi-extradiegesi-diegesi c’è stato. Allora a cosa abbiamo assistito? Forse all’impossibilità di definire un percorso o alla incapacità di comprendere ciò che non può essere “mostrato”?

(1)Non essendo esperto di Teatro Greco do per scontato che la tragedia rappresentata sia l’Elettra di Sofocle, ma, seguendo le prove a teatro, e poiché Lee nomina una tragedia come trilogia, sono propenso a pensare alle Coefore di Eschilo. Dovrei rivedere il film.
(2)Ingrid nella messa in scena interpreta il ruolo di Clitennestra, ma “fuori scena” sembra più una sorella (di Brad) che una fidanzata.



(4)Cfr. Gilles Deleuze, Pourparler

(3)Cfr. Maurice Blanchot, L’infinito intrattenimento

12 commenti:

Para ha detto...

A questo film ci tengo molto, e sono felice di leggere il tuo scritto, Luciano.
Ci sarebbe tanto da dire su questo film.
Ritengo che comunque il processo innescato da Herzog, di continua ridefinizione del racconto, e dei racconti (dei testimoni), insieme alla continua ridefinizione dei metodi (c'è fiction, c'è documentario, c'è il tableau vivant), tiri lo spettatore dentro la visione. Si potrebbe pensare che sia un'operazione fredda, calcolata, ma invece è estremamente emozionale. O almeno così l'ho vissuta io.
Poi per quanto il film sia veramente ma veramente herzoghiano, mi diverte vedere come Herzog resti se stesso dentro un mondo che in qualche modo possiamo definire lynchiano (Lynch ha pur sempre prodotto il film), ma che almeno in un modo giochi a fare Lynch, cioè lasciandola oscillare liberamente la musica da diegetica ad extradiegetica.
Per me, uno dei migliori film degli ultimi anni! :)
Saluti.
Para

Luciano ha detto...

@Para. Infatti sono stato a lungo indeciso se pubblicare più post per sviscerare alcuni dei tanti modi di leggere il film. Ero indeciso se mettere sul blog i miei tre post "canonici" o sintetizzare le mie imprssioni in un'unica pubblicazione. Ho deciso per la seconda ipotesi perché in futuro "riscriverò" qualcosa sul film, magari dopo aver visto nuovamente My son, ma anche perché in questo periodo sto commentando pochi film.

I tuoi argomenti sono molto interessanti: continua ridefinizione del racconto che sviluppa un plot ricco di punti di vista che fluttuano per sedimentare e ispessire il racconto, nonché ridefinizione dei metodi che potrebbero al contrario "frantumarlo" e chiarificarlo. Uno spunto notevole di riflessione e ulteriori ragionamenti. Non mi sono preoccupato molto di Lynch, nel senso che forse è il film più lynchiano di Herzog: se chiedi a Grace Zabriskie di rimanere immobile significa che vuoi proprio omaggiare il regista di INLAND EMPIRE, ma anche così va benissimo perché il cinema non deve solo raccontare una storia. Anche per me uno dei migliori film di questi anni duemila.

A presto.

Anonimo ha detto...

Grandissimo film che mi ha coinvolto nella visione in maniera totale. Aggiungerei anche che Michael Shannon è davvero grandioso. Proprio oggi ho sostenuto un esame di Letteratura greca e posso dire che molti riferimenti e sottotesti adesso mi sono ancora più chiari di prima.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Sì, sì^^ Per me uno dei migliori film dell'anno scorso (tenendo conto che non ne ho visti molti). D'accordo anche su Shannon. Infatti i legami tra il plot e la tragedia greca sono molto complessi e profondi. Ci sarebbe da discuterne per ore. Non so se hai letto la nota 1) del post in cui esprimo un dubbio sull'opera rappresentata a teatro. Anche tu pensi che sia l'Elettra?

Anonimo ha detto...

Dovrei rivedere il film anche io alla luce delle maggiori conoscenze che ho sulla tragedia greca adesso. Fatto sta che secondo me si addice più l'Elettra perchè nelle Coefore è accentuato il tema della vendetta, ed è quasi il punto cardine, mentre nell'Elettra il nodo centrale è quello del dolore e Oreste non agisce spinto dall'onore e dalla vendetta. Però è complessa come distinzione effettivamente.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Interessante, molto interessante… Il paragone quindi andrebbe fatto con l’Elettra, nonostante il regista parli di trilogia. Alla luce di quanto scrivi mi sembra logico pensare all’Elettra… Potrebbe uscirne un ottimo argomento di analisi. Grazie, mi sei stata molto utile^^

stampa foto ha detto...

Adoro Herzog e questo è uno dei miei film preferiti sul quale si potrebbe davvero dire molto!

Cotone ha detto...

Coefore, senza dubbio, almeno in uno dei cori (il secondo, in prova, se ricordo bene) e nel dialogo tra Oreste e Clitennestra (-"Stai dunque pensando di uccidere tua madre?" /-"No, tu ucciderai te stessa" etc).
Probabilmente avrai risolto risolto i tuoi dubbi già da tempo, sono poco tempestiva, me ne rendo conto.
Il film merita (pretende?) più di una "visione".
Al solito, mi accorgo che nel tuo post ci sono osservazioni che aprono alcune porte e ne spalancano altre.

Luciano ha detto...

@Stampa foto. Sono d'accordo: uno di quei film su cui potremmo discutere e dopo ogni visione provare nuove emozioni. Grazie per la visita^^

Luciano ha detto...

@Cotone. Sì, ho riletto in parte Coefore e mi sembra che vi siano certe somiglianze. Forse, seguendo lo "spirito" del film, viene da pensare più all'Elettra, ma le affinità (guardando i brevi brani delle prove) con Coefore è molto intensa. Ah, se avessi tempo, ma dovrei rileggermi Eschilo e Sofocle(forse anche Euripide?)e sinceramente in questo periodo il mio tempo libero è molto scarso.Ti ringrazio per il tuo intervento che mi sprona non poco a rivedere il film. (Certamente, "pretende" di essere visto più volte, come tutti i grandi film). Grazie^^

Ismaele ha detto...

non ho ancora visto il film di Herzog, mi è caduto l'occhio su Elettra, all'interno della tua recensione, ho appena visto "Persona" di Bergman, curioso che Liv Ullmann smetta di parlare quando recitava l'Elettra

Luciano ha detto...

@Ismaele. Non mi ricordavo del particolare presente in "Persona" (film visto molto tempo fa). Un'interessante osservazione. Chissà se Herzog ha pensato al film di Bergman. Un argomento che potrebbe essere approfondito. Grazie per la segnalazione.