28 gennaio 2010

Avatar (J. Cameron, 2010)


Jake Sully, un ex Marine costretto a vivere sulla sedia a rotelle. Nonostante il suo corpo martoriato, Jake nel profondo è ancora un combattente. E' stato reclutato per viaggiare anni luce sino all'avamposto umano su Pandora, dove alcune società stanno estraendo un raro minerale che è la chiave per risolvere la crisi energetica sulla Terra. Poiché l'atmosfera di Pandora è tossica, è stato creato il Programma Avatar, in cui i "piloti" umani collegano le loro coscienze ad un avatar, un corpo organico controllato a distanza che può sopravvivere nell'atmosfera letale. Questi avatar sono degli ibridi geneticamente sviluppati dal DNA umano unito al DNA dei nativi di Pandora i Na’vi. Rinato nel suo corpo di Avatar, Jake può camminare nuovamente. Gli viene affidata la missione di infiltrarsi tra i Na'vi che sono diventati l'ostacolo maggiore per l'estrazione del prezioso minerale. Ma una bellissima donna Na'vi, Neytiri, salva la vita a Jake, e questo cambia tutto.

“Sospensione dell’incredulità”(1) Per molti aspetti, e in maniera assai maggiore di quanto non si pensi, è ciò che accade durante la visione di Avatar. La “sospensione dell’incredulità”o “sospensione del dubbio” consiste nella volontà, da parte del lettore o dello spettatore, di sospendere le proprie facoltà critiche allo scopo di ignorare le incongruenze secondarie e godere di un'opera di fantasia. In Avatar sia precedentemente al film stesso che durante la visione tutto sembra offuscato dalla martellante idea di essere davanti al 3D questo meraviglioso “prodigio delle tecnica” adesso di fronte ai nostri occhi, ma ciò che non diventa oggetto di critica, ciò che rimane sospeso almeno durante l’atto di visione, è esattamente il narrato.
C’è una diffusa teoria per il quale il corpus della letteratura- anche del teatro, del cinema, della televisione, del fumetto e di qualsiasi altro medium a carattere narrativo – sia costituito da un susseguirsi ininterrotto di “plagi”, ovvero che un numero assai limitato di storie originarie verrebbe riproposto continuamente in una serie di varianti e sotto varianti, differenziandosi tra loro soltanto per soltanto per elementi formali quali il mezzo narrativo o le scelte di stilistiche. Questa teoria insomma, formulata nei sui termini più radicali, vorrebbe mostrarsi come tentativo di negare alla narrazione qualsiasi possibilità di innovazione. A rafforzare questa teoria ci sono diversi studi quali quelli di V.Propp, o di C.Volger e di molti altri che non sto qui a citare che hanno individuato strutture fisse che non fanno altro che ripetersi, con l’impressione definitiva che tanto la letteratura, quanto ogni altro medium narrativo, se non proprio ridotta a plagiare se stessa, abbia realmente un margine sempre più ridotto di novità da esplorare. Questo ovviamente accade anche tutt’ora e nemmeno Avatar si esime da ciò. Ma cosa consente a storie simili o addirittura uguali di differenziarsi a tal punto da poter apparire alla fine completamente diverse??? La risposta è molto semplice, ciò che ci fa distinguere una storia dalle altre è il mondo in cui essa si svolge. Il cinema in questo senso è lo strumento primo che si appropria del “mondo” narrativo, ma che a differenza della letteratura, esso non c’è lo racconta, bensì lo mette davanti ai nostri occhi.”Il cinema è vero; una storia è menzogna” “Non ci sono storie. Non ci sono che situazioni, senza capo ne coda: senza inizio, senza nucleo senza fine ; senza dritto e senza rovescio; si possono guardare da tutti i punti di vista; la destra diventa la sinistra; senza limiti di passato o di futuri, sono il presente”(2) Con Avatar si è dentro un continuo andare e tornare, un connettersi e un disconnettersi, si entra e si esce restando sempre in unico luogo, il luogo “dell’io ti vedo”, si realizza il desiderio che un personaggio andando incontro ad un altro, ci porta finalmente con sé; e non lo stiamo accompagnando da dietro o da vanti, e nemmeno di fianco, siamo diventati lui, guardiamo attraverso i suoi occhi, è lui a diventare questa volta l’Avatar di noi stessi.
Ma al di là dell’ ambiguo gioco di parole che il titolo del film mette in questione e della prolissa riflessione che si potrebbe fare a proposito, Avatar aggiunge un sottilissimo tassello a quell’idea per il quale il cinema non serve a raccontare storie, la “storia” è solo una cornice senza il quale ci sarebbero solo un casuale susseguirsi di immagini. Il 3D ha ancora bisogno di essere indagato, ma soprattutto di essere sperimentato. L’utilizzo attuale è limitato alle scene d’azione e in quei sognanti carrelli in avanti di scoperta e meraviglia. Sembra quasi che la sua unica collocazione possa solo essere il Fantasy o quei generi che giocano su stilemi di eccessiva effettistica, ignorando totalmente un cinema sensoriale vero e proprio.


1) Termine coniato da Samuel Taylor Coleridge in uno scritto del 1817 ( fonte Wikipedia)
(2)Epstein J.(1922) in Jean Epstein, cur. L Vichi, il castoro cinema, 2003

14 commenti:

Marmotta ha detto...

Ottima recensione. Condivido principalmente il concetto di "sospensione dell'incredulità".
Guardando il film ho perdonato gli errori, drogato dalla meraviglia per questo mondo onirico.
Molto colpito dalla prima parte, quando la trama ti porta alla scoperta di Pandora sotto la guida della bella Neytiri. La seconda è epica e, come tale, lascia spazio a qualche cliché.
In ogni caso un'esperienza bellissima, raramente sono riuscito ad immergermi così a fondo.
Poi ho aperto gli occhi e il sogno è svanito(citando Jakesully).

Monsier Verdoux ha detto...

Un vero e proprio delirio di colori, di fantasia, insomma un film che è una delizia per gli occhi, che però non riesce ad essere un capolavoro: non basta strabiliare lo spettatore dal punto di vista visivo, credo che si debba essere capaci di farlo anche raccontando storie, personaggi, affrontando temi che non sia no così scontati, stereotipati (oltre che visti e rivisti), come ho sottolineato qualche giorno fa nella mia recensione. E anche il tema della visione, così presente nel film (dalla realizzazione in 3d, ai fotogrammi iniziali e finali con gli occhi che si aprono, alla frase dei Navi "io ti vedo") non viene approfondito più di tanto. Un film fatto solo per il 3d a mio parere, molto bello da vedere, ma nulla più.

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@ Marmotta e @Monsieur Verdoux
è la scommessa sul 3D, ma non si limita solo questo... che l'impianto sceneggiatura sia abbastanza scarno questo è evidente a tutti. Anche se non ho citato direttamente Greenaway ( discorso approfondito in passato in questo blog) la mia idea di cinema si avvicina ai suoi concetti, anche se non con tutti, concordo con l'idea che il cinema debba ancora rinascere, e Avatar e solo un blando esempio di ciò che può essere. ovvero il fatto che si usciva dal cinema non con una storia dentro ma con delle sensazioni. (pensiero personale):Se penso che Inland Empire mi ha dato la stessa sensazione maltiplicata per 10, e in più li non c'era alcun 3D ( anzi una camera digitale semi professionale) allora la cosa mi fa pensare.

Martin ha detto...

Pur usando gli stessi strumenti di Luciano il tuo intellettulismo in questo caso è un po' pretestuoso.
Hai fatto delle disquisizioni teoriche bellissime peccato che dovrebbero essere applicate a... Inland Empire.
Avatar non è il rifiuto consapevole del cinema narrativo, discutibile in sè ma con solide basi artistiche.
Avatar una "storia" la vuole raccontare ma è di una banalità sconcertante.
Un racconto può essere per nulla innovativo e originale ma tutt'altro che banale.
Comunque il difetto peggiore di Avatar non è questo.
Tu parli di "incongruenze secondarie e godere di un'opera di fantasia".
Ebbene qui di fantasia ce n'è tragicamente poca e per un film che dovrebbe essere "fantastico" è cosa non da poco.
La sospensione dell'incredulità poi dovrebbe essere intesa relativamente alle premesse di un'opera di fantasia, stabilite le quali si ha il diritto di pretendere la massima coerenza interna.
Ma non è il caso di Avatar per cui la fantascienza è solo un pretesto per mostrare paesaggi alieni ma di fatto non ha nessun peso nell'econonomia del racconto.

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@Martin In un certo senso si, parte del mio discorso può benissimo essere mappato su IE, è stato più che altro un pretesto per parlare di Avatar in un altro modo, o come secondo me , poteva essere. Avatar non potrebbe mai essere un prodotto consapevole di una certa a-narratività,prima di tutto per la sua natura produttiva, ha diciamo dei richiami affascinanti e fascinosi in merito. Non mi sono mai considerato un intellettuale nel pieno senso della parola, ma se dovessi fanne parte sarei sicuramente uno dei più mediocri. Quindi ti ringrazio dei tuoi commenti. fanno semmpre bene :)

AlDirektor ha detto...

Ci sono diversi film dove allo spettatore è esplicitamente chiesto l'abbassamento della sua "sospensione dell'incredulità". Insomma, quei film dove lo spettatore deve rendersi disponibile alle emozioni che la pellicole può fornire, collaborando. Diverse pellicole quasi inverosimili, sono ottime, indimenticabili, grazie a questa connessione con il suo pubblico.
Non è ovviamente il caso di questo "Avatar", pellicola esecrabile, certamente non creata per stabilire questo rapporto con lo spetattore, ma per stupirlo in ogni maniera possibile con i suoi trucchi di magia, le sue visioni "nuove", i suoi colori. Oltretutto, è un concetto che non c'è mai stato nel cinema di Cameron questo. "Aliens" o i due "Terminator" (che sono di altra fattura però) non hanno assolutamente questo concetto nel loro intento, ma possiedono un nerbo narrativo non indifferente, anzi(insomma, la sceneggiatura è scritta come dio comanda).
Stavolta invece siamo di fronte a un prodotto (mi sembra il modo più giusto di definire un articolo da supermarket) mirato alla sola spettacolarità visiva, senza davvero nulla dietro. Non c'è una metafora, un'allusione, una maledettissima critica!
Il Nulla più assoluto, nemmeno al parco divertimenti si rimane così "a mani vuote".
E poi li i giochi durano poco.

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@AlDirektor,rispetto il tuo personale punto di vista pur non condividendolo e non comprendo appieno il chiamare in causa i precedenti film di Cameron ma da qualche tempo ho smesso di credere alla distinzione che esista un tipo di film detto "commerciale" e un film "d'arte" o "d'elite"

AlDirektor ha detto...

Bè, parlando di qualcuno che dovrebbe essere autore, è d'obbligo richiamare i suoi precedenti. Ogni regista degno di questo nome ha un suo percorso che va esaminato se si vuole capire appieno la personalità e la poetica dell'autore. Questa è la motivazione per cui ho citato alcuni suoi precedenti.
Invece, come mai hai smesso di credere in questa distinzione netta tra "commerciale" e "d'arte"?

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@lDirektor bhe si in questo senso hai ragione, citarli nell'affermare come l'ultima opera sia qualcosa di completamente diverso. Avevo frainteso. Il discorso sulla distinzione tra film commerciale e film d'arte/ autore potrobbe non finire mai sia perchè quello che noi consideriamo autore in realtà è una figura che si frammenta nelle più disparate figure interne alla produzione di un film, l'idea di autore è più una convezione. nel peggiore dei casi è una sorta di "brand" ( come secondo me è seucceso per Cameron )L'oggetto film è qualcosa che non rimane statico nel tempo ma rimane in balia dei cambiamenti tecnologici,sociali e culturali che oggi più che mai sono incontrollabili, ne tanto meno calcolabili, pensa al fenomeno matrix, o perchè film come "Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda", vengono riproposti in festival del cinema che sono tutt'altro che commerciali. Sono discorsi che non vanno affrontati per assolutismi, in quanto hanno confini molto labili.

AlDirektor ha detto...

Si diciamo che il regista non ha mai troppo potere sul suo film, ma se sa imporsi può esserne il puro autore (cosa automatica ovviamente se il regista è anche produttore, in quel caso il film è roba sua).
Mi trovo d'accordo con te sul significato "instabile" e l'importanza di ogni film. E sul fatto che i confini per staccare ciò che vale da ciò che non vale, ciò che è d'autore da ciò che è commerciale, siano in effetti sottilissimi e non sempre certi (un critico pensa una cosa, un altro pensa l'opposto). Raramente si vede un film che accontenta chiunque ("La dolce vita" è stato massacrato da critica e chiesa, ed è stato il pubblico a portarlo a capolavoro), quindi è giusto dire che in pratica non si può affermare quando ci troviamo davanti un qualcosa d'autore o di commerciale. Però, bisogna anche dire che, in casi come questi, possiamo tranquillamente negare di trovarci di fronte ad un film d'autore. E forse possiamo dire anche che è una trovata commerciale. E' davvero troppo evidente. In "Avatar" non vi è nemmeno minimamente un accenno ai costumi e alle tradizioni di una nazione, belle o brutte che siano.

Online Degrees ha detto...
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Luciano ha detto...

Ho atteso molto a commentare questo tuo bellissimo post per due motivi: il primo lo conosci già, il secondo perché volevo vedere il film che in effetti mi ha estasiato proprio per i motivi che hai benissimo spiegato. Ovviamente non me la sento di giudicare un film di tale portata, anche se la "storia" è debole e le incongruenze ci sono, ma in effetti, come direbbe Greenaway (e se credo di conoscerlo bene questo film non dovrebbe piacergli più di tanto), dobbiamo ancora imparare a guardare un film e Avatar forse andrebbe visto a occhi chiusi rollando nelle onde.

divinafollia ha detto...

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Afush ha detto...

Complimenti per la bella recensione, che trascende la trattazione di Avatar.
Come dici te, Giuseppe, è difficile trovare storie originali, mentre è più facile creare ambientazioni ex novo, come nell'ultimo lavoro di Cameron.
Circa il 3D, alla òluce anche della visione di Alice di Tim Burton, condivido l'idea che il nuovo medium vada indagato più in profondità.

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