16 maggio 2009

Star Trek - Il futuro ha inizio (Jeffrey Jacob Abrams, 2009)

(Attenzione spoiler!) Una saga immensa, la storia di una mezza dozzina di imperi e di una galassia. Dieci film (escluso il presente), cinque serie (oltre settecento episodi), una serie animata (22 episodi). Vedere un film Trek significa entrare in un universo parallelo, accettare codici ben precisi, conoscere razze, culture, linguaggi, usi e costumi, strutture giuridiche e politiche, forme di governo, regni, imperi, tradizioni, abitudini, hobby, letterature aliene, bevande, drink, piatti, persino ricette di cucina. È un mondo parallelo formatosi nel tempo, perfezionato, integrato e ampliato in oltre quaranta anni di lavoro. Anche se non mancano incongruenze (ma non mi riferisco alle leggi della fisica che spesso vengono ignorate o trattate in modo diverso da film a film), incompatibilità, contraddizioni e soprattutto trasformazioni fisiche nelle razze aliene (ad esempio i Romulani hanno con il tempo cambiato la struttura fisica del cranio), ci troviamo davanti alla storia (inventata) di una federazione che cerca di esportare (e non imporre) il suo modello culturale e politico al di là del proprio spazio. La storia nasce dall’incontro-scontro con altri imperi (Klingon, Cardassia, Romulus, Borg) e dal tentativo di intessere rapporti economico-culturali (la guerra è usata dalla Federazione solo per difendersi). Ebbene questa saga magnifica, che ha appassionato milioni di spettatori, che ci ha trascinati in un altrove decritto con precisione fin nei minimi particolari, non esiste più (i pignoli potrebbero farmi notare che le quattro stagioni di Star Trek Enterprise resterebbero in piedi). Non esiste perché questo film, attraverso un espediente, riforma l’universo trek e ogni cosa si apre a nuove prospettive. La supposizione di un futuro Trek viene superata da un’altra supposizione, un immaginario in cui accade l’impossibile, in cui un universo inventato, supposto, formato, sviluppato, un universo inteso come evoluzione della nostra umanità (una storia ancora da scrivere ma che nella finzione è già stata scritta), subisce una trasformazione tramite la generazione di un futuro alternativo, una realtà alternativa di un futuro immaginato. L’intero altrove Trek, in quanto supposto e in quanto formidabile creatura nata dalla mente di Roddenberry, si riavvolge come una bobina per permettere una nuova nascita: poiché il futuro della Terra si è consumato in troppe storie e in troppi eventi, si è saturato, perdendo col tempo la freschezza dei primi episodi, poiché l’oggetto è diventato abituale, si è consumato dopo le innumerevoli visioni (e il mondo Trek è divenuto cult da tenere sul buffet), era impellente rendere strano l’oggetto abituale (anche se, ripeto, fantascientifico), si sentiva il bisogno di un’uscita da una percezione automatizzata (nel senso che quando vedo la tutina-pigiama ho già in mente tutta la Storia Trek) al fine di ri-visitare questo mondo per vederlo sotto una nuova prospettiva. Questo oggetto abituale (la saga Trek) ha subito quel processo che Šklovskij definisce di automatizzazione (1). “L’oggetto passa vicino a noi come imballato, sappiamo che cosa è, per il posto che occupa, ma ne vediamo solo la superficie […], l’oggetto si inaridisce, dapprima solo come percezione, ma poi anche nella sua riproduzione […]. Dal processo di algebrizzazione, di automatizzazione dell’oggetto, risulta una più ampia economia delle sue forze percettive: gli oggetti o si danno per un solo loro tratto […] oppure si realizzano come in base a una formula, senza neppure apparire alla coscienza” (2). La nuova prospettiva potrebbe anche non essere fondamentale, (d’altronde nella sci-fi si sono viste cose incredibili, abbiamo dovuto accettare eventi folli e inimmaginabili), ma ha allineato l’oggetto ad un altro tipo di immaginario, probabilmente per scopi lucrativi, ma con ottimi risultati. Lo Star trek di Abrams ri-fonda la saga o meglio ripristina il livello energetico dell’immaginario ormai in via di esaurimento attraverso una negazione, tramite una riformulazione narrativa, incidendo sul nesso causale del plot. In altri termini quello che più mi ha affascinato del film è la perentorietà di un’assenza al di là della freschezza delle sequenze, dell’auto-ironia e della dinamica degli eventi (ricordiamo che si tratta sempre di un blockbuster), nel senso che la perdita (di qualsiasi tipo e qui addirittura di un pianeta) diventa l’assioma di una nuova presenza, l’origine di un altro futuro scaturita da un reset virtuale o da una supposizione al quadrato (supponiamo che ciò che abbiamo supposto fino ad ieri venga annullato). Ma l’azzeramento effettuato non è la perdita della memoria (nel viaggio temporale classico la memoria potrebbe subire gravi perdite) per due motivi: la memoria è l’ultima resistenza della nostra umanità, la memoria è il lavoro di tutti coloro che hanno contribuito (in primis Roddenberry) a questo nostro immaginario sviluppo. Pertanto mi sento di affermare che Star Trek è una porta aperta sulla memoria del cinema e sul lavoro che è stato fatto (il vecchio Spock tra l’altro sembra rimanere nel suo futuro alternativo anziché tornare nel suo vecchio passato) mentre nel plot è intervento sulla memoria dell'estinto Vulcano. Il pianeta non esiste più e adesso tante cose cambieranno, ma il ricordo del futuro del Vulcano che fu, e che per nuova convenzione non dovremmo conoscere, nella vecchia linea temporale è rimasto intatto, pertanto rimarrà sempre nella memoria come lo spettro di questo nuovo "futuro ucronico" (ma può un futuro essere l’ucronia di un vecchio e abbandonato futuro anteriore?). Poiché l’ucronia gioca con la Storia (se Hitler non fosse nato ci sarebbe stato l’olocausto?) ma la Storia non gioca con l’ucronia (quali sono state le cause che hanno determinato l’avvento di Hitler e perché Hitler ha avuto il consenso di milioni di tedeschi?), neppure il futuro immaginato può essere ucronico, sia perché niente è ancora accaduto e l’immaginazione non è confrontabile con il mondo reale, sia perché la Storia non guarda nelle sfere di cristallo. In altri termini oltre a una Storia événementielle (storia tradizionale, quella con cui si misura l’ucronia), esiste una storia sociale (lentamente ritmata) e un’altra storia quasi immobile, “[…] una storia che scorre e si trasforma lentamente, fatta molto spesso di ritorni ricorrenti, di cicli sempre ricominciati.” (3). Nonostante questa storia lentissima non preveda eroi e "semidei" (4), possiamo ugualmente supporre la nascita di un differente futuro rispetto a un vecchio futuro immaginato, un nuovo evento che destabilizza la narrazione mostrando l’evanescenza del racconto a tutto vantaggio della forza del ricordo, della passione, delle emozioni. Così ci troviamo davanti a un nuovo tipo di mondo Trek, seguito dall'ombra del vecchio universo trek, da una parvenza proiettata al di là della luce, al di là dei suoi vecchi eroi e semidei, perché (ma già dopo quaranta anni avremmo dovuto intuirlo) Star Trek è come una storia fatta di "cicli sempre ricominciati".

(1) “Se ci mettiamo a riflettere sulle leggi generali della percezione, vediamo che diventando abituali, le azioni diventano meccaniche. Così ad esempio passano nell’ambito dell’ «incosciamente automatico» tutte le nostre esperienze”. Victor Borisovič Šklovskij, L’arte come procedimento, in Teoria della prosa, Einaudi, Torino 1976, p. 10.
(2) Ivi, p. 11.
(3) Fernand Braudel, Scritti sulla storia, Mondatori, Milano, 1973, p. 31.
(4) “Il problema non consiste nel negare l'individuale col pretesto ch'esso risulta contingente, bensì nel superarlo, nel distinguerlo dalle forze diverse da lui, nel reagire contro una storia arbitrariamente ridotta al ruolo degli eroi quintessenziati: noi non crediamo al culto di questi semidei o, più semplicemente, siamo contro l’orgoglioso detto unilaterale di Treitschke: «Gli uomini fanno la storia». No anche la storia fa gli uomini e forgia il loro destino, la storia anonima, profonda e spesso silenziosa, di cui bisogna affrontare ora l’incerto ma immenso dominio […]”. Ivi, p. 39.