26 settembre 2009

Picnic a Hanging Rock (P. Weir, 1975)


Australia, 14 febbraio 1900. Al collegio femminile Appleyard c’è fermento, il giorno di San Valentino agita le ragazze e la gita prevista alla Hanging Rock . La roccia vulcanica esercita fin da subito sulle ragazze un forte richiamo: Miranda, bella come un cigno, Marion, Irma e Edith si inoltrano nella scalata comprendendo quanto quel gigantesco masso sia pregno di intenso fascino e mistero , frutto di migliaia d’anni di evoluzione. Il loro cammino si esaurirà in un terribile incidente. Le ragazze, insieme ad una loro insegnante, spariscono come se il monte le avesse prese con sé, ingoiate nel suo ventre. Le ricerche cadono nel nulla e le persone coinvolte subiscono strani incidenti come se ci fosse un ammonimento divino per aver interferito con la Natura.


L’immersione in un paesaggio che si svela per strati, Hanging Rock è un luogo avvolto nella nebbia, che libera coloro che sono avvolti dalla nebbia, o comunque , coloro che vogliono essere liberati. Esplicative sono in questo senso le immagini che accompagnano i titoli di testa del film, lo scenario che abbiamo di fronte è quello della maestosa roccia di Hanging Rock, il campo visivo verticalmente diviso in due parti che, attraverso delle dissolvenze, ci viene mostrato solo la parte inferiore del paesaggio, la parte superiore e offuscata dalla nebbia ,subito dopo la nebbia scende giù, mostrando cosi l’immenso masso che domina il territorio circostante, quel territorio che adesso si trova nella nebbia. La nebbia scompare e l’intero paesaggio si mostra in tutta la sua maestosità . “La Vita è sogno, soltanto sogno. Il sogno di un sogno”(1) L’Altezza e la Distanza sono i due elementi che caratterizzano questo luogo. L’altezza che si manifesta non solo come innalzamento fisico effettuato dallo scalare la roccia, ma anche l’innalzamento dei sensi, che porta ad un vero e proprio invasamento, ciò è favorito da una distanza che separa due mondi ben distinti, da un lato il rigido mondo Vittoriano dei primi del 900 fatto di regole, gerarchie e stretti corsetti da indossare. Dall’altro la surreale naturalezza di cui è pregna Hanging Rock. Le collegiali si avvicinano a quella natura come visitatrici da un altro pianeta, senza sapere, soltanto avvertendo, percependo. Un archetipico modello secondo il quale sono le donne le creature con un più intenso contatto con la dimensione ctonia della vita e del reale, più vicine alle profondità della terra che non alle elevazioni celesti, più pronte ad ascoltare Pan che Minerva. Più ninfe che vestali.

L’ingresso in questo mondo è fisicamente segnato da una soglia, un simbolico e malandato cancello in legno e metallo, dove al momento della sua apertura, con un frenetico montaggio alternato, gli occhi di Miranda seguono il vorticoso volo degli uccelli, e il movimento delle nuvole. Ecco che all’interno di questo mondo, i personaggi presenti sono assopiti, l’unico modo che abbiamo per seguire il loro percorso, e posizionarci su un piano più metafisico, tenendo una gamba nella geografia della paesaggio e l’altra nella geografia della loro anima. E così l’orologio che si ferma a mezzogiorno in punto (ora che secondo la mitologia classica era impregnata di valenze e potenzialità magiche) identifica lo scollegarsi da una struttura, quella del tempo e della misurazione delle attività umane per fini produttivi-pragmatici, che controlla e raffina ponderatamente ogni atto, ogni pulsione, normalizza e seleziona. Cosi nel giorno di San valentino ci si spoglia: le ragazze e perfino la megera insegnante si disfano dei propri vestiti; ritorna il corpo non appena si uccide la regolare scansione del tempo, si affaccia una visione sessuata della realtà, pagana, scabra, inquietante. Una delle amiche troverà in Miranda il volto della Venere di Botticelli, ma ciò entra in contrasto con una natura più spregiudicata, che invece colloca Miranda all’idea di donna dei pittori Pre-Raffaelliti, dove il mondo di quest’ultimi era appunto fatto di spregiudicata delicatezza. Il personaggio di Miranda risulta centrale colei che sembra godere di poteri sensitivi di gran lunga superiori a quelli delle sue compagne di escursione. "Lei sa cose che voi non vi immaginereste neanche"affermera' una Sara (amica di Miranda) profetica , rivelando, seppur implicitamente, la sensitivita' di Miranda, allo stesso tempo quest'ultima, seppure inconsciamente, durante i preparativi mattutini per la gita a Hanging Rock,rivelera' a Sara:"Faresti meglio a cercarti qualcuno a cui voler ben, io non staro" qui ancora a lungo. Sentendo dentro di se quali forze l’avrebbero strappata. Miranda sente su di sè di dover svolgere il compito che l'universo natura le ha dato.

Per quanto vi sia un tempo statico, il ritmo a Hanging Rock viene scandito dal flauto di Pan, antichissimo strumento, suonato con straordinaria potenza emotivita' dal grande Gheorghe Zamfir. In sotto fondo al flauto viene accostato un “drone”(2) armonico che enfatizza la carica sospensiva e statica di queste sequenze. "la musica funziona come una piattaforma girevole spazio-temporale; ciò vuol dire che la posizione particolare della musica è di non essere soggetta a barriere di spazio e di tempo, contrariemente agli altri elementi visivi e sonori, che devono essere situati in rapporto alla realtà diegetica, e non a una nozione di tempo lineare e cronologica."(3) Protagoniste dunque di una scena di smarrimento puro assolutamente memorabile, perché costruita attraverso la grande arte della sottrazione di ciò che dovrebbe risultare familiare. La processione di tre figure riprese di spalle, che, ondeggiando nell’innaturalezza di un passo rallentato cinematograficamente, scompaiono tra le fenditure della roccia senza mai voltarsi né prestare ascolto alle grida disperate della quarta compagnia, più pavida, meno pronta.
Sul piano narrativo lo spettatore viene tradito dalle aspettative alimentate tanto dal film quanto dagli stessi personaggi, che continuano a ripetersi che “ una spiegazione c’è di sicuro”. Lo spettatore deve assumere la consapevolezza dell’ignoto. Quello che non vede innesca la fantasia del mostro laddove sa bene di non doversi aspettare il mostro, bensì l’insinuarsi di un “perturbante di tipo sensoriale”(3). Tre donne trasfigurate, stregate, anzi streghe. E’ un racconto che va percorso attraverso il non detto, attraverso il silenzio(4), dove si assaporano luci, suoni e odori dentro una armonia claustrofobica qual è la natura, dentro il quale l’uomo non ha più alcun potere logico-cognitivo.


(1)Voce off di Miranda all’inizio del film “Picnic a Hanging Rock”
(2)In musica il “drone” è un effetto armonico o monofonico di accompagnamento in cui una nota o un accordo sono suonati in modo continuo per buona parte o per l'intera composizione, sostenuti o ripetuti, e spesso determinano la tonalità della composizione stessa. (wikipedia)
(3)M. Chion, L'audiovisione, suono e immagine nel cinema, lindau,2001
(4)M. Benvegnù, Filmare l’anima, il cinema di Peter Weir, Edizioni Falsopiano 1997

21 settembre 2009

L'anno scorso a Marienbad (A. Resnais, 1961)


Un uomo si affanna a evocare ad una donna immemore un loro presunto incontro precedentemente avvenuto proprio lì, nell’albergo di Marienbad dove sono ospiti. Un incontro avvenuto l’anno prima, o forse molti anni prima. La donna sembra non ( voler) ricordare. Forse la trattiene anche la presenza di un uomo, un marito o un amante, che si frappone tra i due interlocutori e ostacola il pretendente in ogni modo. Finchè la donna sembra superare le proprie remore, acconsentendo a partire. Forse.

Siamo di fronte all’estrema rappresentazione dello scontro tra il tempo e la memoria, la memoria di lui e quella di lei, collocate dentro coordinate che non sembrano incontrarsi, ma che invece si diramano in altre possibili strade che convivono nello stesso luogo. Tra la voce fuori campo e le immagini, tra gli stessi ricordi dell’uomo X e della donna A, questa vicenda sembra ripetersi nel tempo, portando quest’ultimo allo sfaldamento, ponendo indiscernibile la differenza tra il presente e il passato, tra l’attuale e il virtuale. Tanto gli attori quanto gli spettatori, perdono un centro fisso di riferimento. "Proprio l’io-qui-ora, soggetto dell’enunciazione cui ricondurre ciò che vediamo si perde nella continua differenziazione e frammentazione. La voce fuori campo non è più centrale, sia perché entra in rapporti di dissonanza con l’immagine visiva, sia perché si divide o si moltiplica" (1).

“In questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi, silenziosi, deserti, gelidamente decorati da intarsi in legno… In sale silenziose in cui i passi di colui che le attraversa sono assorbiti da tappeti così pesanti, così spessi, che nessun rumore di passi arriva alle sue orecchie. Come se persino le orecchie di chi cammina, ancora una volta, lungo questi corridoi, attraverso questi saloni, queste gallerie, in questo palazzo d’altri tempi, in questo albergo immenso, lussuoso, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi…” (2)

Fin dall’inizio il film non ha un punto di apertura. Dai titoli di testa c’è un fade in della voce, poi un fade-out, poi di nuovo un fade-in. La voce sembra risuonare per questi corridoi, ma non sappiamo a chi riferirla, anche per la sua eccessiva letterarietà. E il discorso sembra avvitarsi su un circolo riprendendo dallo stesso punto senza mai fermarsi. Le stesse parole sono ripetute in diversi modi e in diversi contesti. Un ruolo centrale lo gioca la mancanza di trasformazioni. Marienbad presenta stati di cose in divenire ma senza mostrarcene le trasformazioni, le cose si presentano senza un prima e un dopo.L’attesa assume dunque un aspetto fondamentale. È la tensione costante che pervade il film, nonostante non accada nulla. La donna A costringe l’uomo X ad attendere un anno, prima di fuggire via insieme. E poi un altro ancora, all’infinito: “Dobbiamo ancora aspettare, qualche minuto ancora, più che minuto, qualche secondo.” La dilatazione provocata dall’attesa aumenta il carattere tensivo dell’opera al punto che l’oggetto del desiderio dell’uomo X, l’unione con la donna A, protratto nel tempo, aumenta di valore. “Non è vero che abbiamo bisogno della mancanza, della solitudine e dell’eterna attesa! Non è vero! E’ che avete paura!”: D’altra parte l’uomo X tenta di annullare questa situazione sospesa, convincendo la donna A che proprio di quella tensività loro non hanno bisogno. L’attesa compie un percorso di attraversamento di soglie ( corridoi che succedo ad altri corridoi, porte chiuse, giardini), Cosa confermata dalla voce fuori campo, anche a livello spaziale: “Arrivando ho trovato tutte le porte socchiuse, mi è bastato sospingerle, una dopo l’altra…” O ancora: “Ancora pochi secondi e si concluderà per sempre… - in un passato di marmo - … guardando verso la soglia di questo giardino…” e “Ma voi restavate sempre a una certa distanza, come sulla soglia, come all’ingresso di un luogo oscuro. Avvicinatevi! Avvicinatevi di più.” La soglia diventa limite da attraversare, l’aumento delle soglie fa allontanare i limiti di una possibile terminatività , ciò fà si che tutto si ripeta, che si mostri in un “eterno ritorno”. Marienbad è un film costituito da un’infinità di enunciati, voci, parole, azioni, immagini, che paiono riecheggiare per i corridoi di quell’albergo immenso, in condizioni costantemente diverse. All’interno della stessa enunciazione filmica è impossibile disimplicare i soggetti dell’enunciato dal soggetto dell’enunciazione. Questi enunciano altri enunciati che si distinguono e non fanno che galleggiare in questo vuoto. Il protagonista, ricorda, nel ricordo dove si fonderanno altri racconti e ricordi e sarà impossibile riferire il tutto a un centro originario, a una presenza. Ciò rende la narrazione incomprensibile a un’unica visione e al tempo stesso affascinante perché costantemente reiterata in diverse condizioni. Una molteplicità di situazioni sono ripetute al punto da rendere indistinguibile, o forse superflua, la differenza tra la realtà e la sua rappresentazione, tra il ricordo vero e quello falso, tra il presente e il passato.

Ma la ripetizione non si attua solo all’interno dei dialoghi o della voce off, anche le immagini si ripetono. L’uomo X porta la donna A a vedere un quadro, dove due statue osservano una grande giardino con viali rettilinei e un grande albergo in fondo ad esso. Rivedremo gli stessi commenti di fronte allo stesso quadro ma posto in un altro luogo, o alla stesa immagine dipinta con un altro stile (in stile moderno verso metà film). Se il quadro è un testo mostrato all’interno della diegesi, vedremo come questo si confonda con la realtà del testo filmico, rendendo indiscernibili realtà e finzione. L’immagine del giardino, dell’albergo e delle statue, sono il giardino e l’albergo in cui l’uomo X e la donna A si incontrano. Li vedremo ancora una volta, commentare le statue reali, dal vivo, il giardino con quei viali rettilinei “dove sembrava impossibile perdersi”. E la stessa scena si ripete diversamente, con le statue che una volta si trovano prospetticamente di fronte alla facciata dell’albergo, come nel quadro, un’altra di lato, guardando verso il bosco e il lago. Tutto sembra però spostarsi all’interno di “ prospezioni piramidali”(3) disseminate nel film; dalla posizione delle carte o dei fiammiferi per il gioco del Nim, alla fuga dei corridoi, alla dislocazione esterna del parco. Come piramidale e la collocazione dei personaggi, con un X al vertice che dirama le sue possibili linee verso due estremi in basso della piramide, sono destinati a sdoppiarsi da un lato nella donna (A) e dall’altro con l’altro uomo ( marito, amante). Ma non è una dislocazione su una figura piana quale potrebbe essere quella del triangolo, anche perché se cosi fosse le relazioni risulterebbero più evidenti, direi piuttosto che siamo in una prospettiva di geometria solida, nel gioco dei volumi, con un effetto discorsivo che percorre il disegno di tutto il film, improvvisamente risucchiato nella dimensione del prismatico, dello sfaccettato, del perennemente variabile. Come a rappresentazione della vera immagine cristallo di Deleuze.(4) E’ in questo sfondamento volumetrico che Resnais penetra e affonda molto più che nei quadri di Van Gogh o nella Tela del Guernica (5) facendo diventare la sceneggiatura di Robbe-Grillet semplice sotto-testo. In L’Anno Scorso a Marienbad sembra dunque esserci non un semplice passaggio da un mondo all’altro ma una condizione di frontiera perenne. Come se ci si trovasse costantemente su un punto di accessibilità tra i mondi, i diversi modi in cui possono essere andate le cose l’anno scorso a Marienbad.


(1)Deleuze, G. L’immagine-tempo, cinema 2, trad. it. Milano: Ubu Libri, 1989
(2) Introduzione delle voce off in L’anno scorso a Marienbad (A. Resnais 1961)
(3) Sergio Arecco, in Alain Resnais o la persistenza della memoria, Le mani, 1997
(4) ibid. (1)
(5) Faccio riferimento ai cortometraggi realizzati da Resnais su Van Gogh e sul Guernica

20 settembre 2009

Giuseppe nuovo collaboratore di cinemasema

Sono felice di annunciare che da oggi Giuseppe sarà la terza voce del blog e sono lusingato che mi abbia esplicitamente richiesto di entrare a far parte dell'equipe degli autori. In effetti "cinemasema" languiva da tempo. Per motivi personali che non sto a spiegare né io né Valeria riusciamo a pubblicare con una certa frequenza anche se spero sempre di riprendere il mio discorso abbandonato circa un anno fa. Mi reputo fortunato che Giuseppe abbia accettato di scrivere su "cinemasema". Infatti ritengo, come già scrissi quando presentai Valeria, che più "voci" contribuiscano a dare una prospettiva più profonda e obiettiva. Probabilmente un giorno, chissà, saranno pubblicate due recensioni sullo stesso film appena uscito in sala e magari persino diametralmente opposte. Ovviamente sono solo supposizioni, ma l'idea mi affascina anche se ciò non significa che io, Valeria e Giuseppe dobbiamo per forza dissentire o, al contrario, concordare. Perciò totale libertà di espressione e sono convinto che Giuseppe porterà avanti un suo interessantissimo discorso. Un augurio di buon lavoro a Giuseppe. Tra poco il suo primo lavoro. Grazie a tutti per l'attenzione.

5 settembre 2009

Molly Bloom ti amo

Il punto di vista onnisciente tende a emergere come centralità inalienabile, come tentativo di apprendere la superficie dell’evento rimanendo al centro della visione e conoscendo ogni aspetto (anche il più intimo) dei personaggi. Quando conosciamo in anticipo un evento drammatico (un ponte che sta per crollare) in cui rimarrà coinvolto un ignaro personaggio (sta per attraversare il ponte con l’auto) assistiamo con trepidazione e ansia allo Spannung, magari sperando che l’eroe (noi stessi?) riesca a salvarsi. L’attenzione viene catturata tramite il dono del punto di vista di Dio, ossia attraverso la possibilità di vedere l’invedibile, di viaggiare come un ectoplasma in ogni meandro dell’immagine. Se l’eroe soccombesse d’improvviso, in un attimo, senza motivo (non esiste un "motivo" per la vittima), l’ansia non avrebbe il tempo di emergere lasciando spazio ad un senso di ingiustizia. L’opera tradizionale (sia essa romanzo, film o altro) in genere rappresenta il punto di vista di un autore onnisciente che spiega, descrive, giudica, prevede i personaggi e i loro comportamenti, gli eventi, gli oggetti, la storia. Ma la tecnica di Joyce “[…] elimina questa presenza continua dell’autore e sostituisce al suo punto di vista il punto di vista dei personaggi e degli eventi stessi […]; le passioni di Molly definite come Molly, nel patirle, le potrebbe definire”(1). Questa tecnica di “far parlare” i personaggi , di rendere espressivo “[…] il modo con cui i personaggi parlano e le cose si presentano […] è la stessa che il cinema assume, sin dalle origini, quando nell’Incrociatore Potemkin Eisenstein non “giudica” il rapporto equipaggio macchina, ma cala il suo giudizio in un montaggio convulso di immagini della machina e dei macchinisti legati alla macchina [...] e, ai giorni nostri quando Godard, in A bout de souffle […] monta il film […] così come il protagonista avrebbe potuto fare” (2). Un'epifania-struttura (3) come rivelazione improvvisa, un attimo infinitesimale in cui la parcellizzazione del Dentro (nel senso del mondo vissuto dall’anima del personaggio) emerge in un Tutto ma solo per un momento. Questa tecnica ejzenstejniana (il cinema non può limitarsi a riprodurre il reale ma deve interpretarlo) la dice lunga sulla passione di Joyce per il cinema che riuscì a trovare dei finanziatori per aprire, il 20 dicembre 1909 a Dublino, una sala di proiezione: il Cinema Volta; e anche se l’esperienza si concluse con un fallimento (il locale chiuse nell’aprile dell’anno seguente) Joyce rimase affascinato dalla magia della settima arte che influenzò lo scrittore irlandese soprattutto nella stesura dell’Ulisse. Il monologo di Molly Bloom è un fiume in piena che trascina il lettore all’interno dei sentimenti di Molly. I pensieri si accavallano in un periodo senza punteggiatura e si compenetrano restituendo il sapore e il profumo della vita, l’essenza della donna che misura e confonde il tempo. Ricordando il primo abbraccio col marito sulla collina di Howth, il suo incontro con Boylan e l'amore fatto con lui nel pomeriggio, desiderando di attirare gli uomini perché esasperata dall'indifferenza di Bloom, e pensando a mille altre cose, Molly apre il suo animo, “racconta” la sua femminilità e il suo esser donna oggi.

[...] il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che gli feci fare la dichiarazione sì prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all'anice e era un anno bisestile come ora sì 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato sì disse che ero un fior di montagna sì siamo tutti fiori allora un corpo di donna sì è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi sì perciò mi piacque sì perché vidi che capiva o almeno sentiva cos'è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finché non mi chiese di dir di sì e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e Mr Stanhope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevan loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all'elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste la mattina i greci e gli ebrei e gli arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d'Europa e Duke street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharon [...] e i cactus e Gibilterra da ragazza dov'ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be' lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio. Sì. (4)
Non siamo davanti a un giudizio dell’autore che guarda asetticamente le sue creature ma nel mezzo di una testimonianza, un monologo in cui la “creatura” prende la parola e racconta le sue esperienze e nel caso di Molly le racconta attraversando il tempo, confondendo i diversi momenti della propria vita con le semplici attività quotidiane. Il flusso esce dal tempo (infatti nello schema Linati (5) l’ora è indicata col simbolo “∞” - infinito), la materia molle dell’evento (un monologo nel letto di casa non può stare in piedi senza una robusta struttura) si inquadra nella storia di Ulisse e del suo viaggio errante per il Mediterraneo mentre Penelope, insidiata dai Proci, tesse e scuce la sua tela. Molly-Penelope è in attesa del suo Leopold-Ulisse ma l’epifania adesso non è nella rivelazione di un destino superiore, non diverrà epopea da tramandare agli eredi. La struttura arcaica (Odissea) non sorregge più un mondo costruito dai vati ma una fluidità magmatica delle cose, la perdita di ogni riferimento, la forza impossibile del Dentro come filtro e costruzione di mondi. Il puzzle di pensieri e immagini, considerazioni e ricordi, sogni e bisogni si realizza in un’improvvisa epifania strutturale nel senso che questo accatastarsi di frammenti restituisce una rivelazione attraverso la struttura dell’Odissea: Molly è una Penelope non adagiata nell'attesa di un arrivo (Ulisse), bensì di una cessazione (morte? fine del romanzo?). Il monologo (il romanzo) nello stile è paragonabile appunto al film di Ejzenstejn (La corazzata Potëmkin) ma oggi potrebbe essere realizzato intersecando i vari flussi narrativi (il flusso che attraversa piani e mondi differenti), “incassando” (come in INLAND EMPIRE) storie dentro storie per evocare il senso dei pensieri di una moglie tradita capace di tradire, che rimane sempre e comunque una fedelissima e innamorata Penelope, una donna che non è possibile non amare. Molly non è un’anti-Penelope o una Penelope moderna ma è Penelope.
(1) Umberto Eco, Le poetiche di Joyce, Bompiani, Milano, 1987, p. 69.
(2) ibid.
(3) Ivi, p. 68.
(4) James Joyce, Ulisse, Mondadori, Milano 1989, pp.740-741. Versione originale: "the sun shines for you he said the day we were lying among the rhododendrons on Howth head in the grey tweed suit and his straw hat the day I got him to propose to me yes first I gave him the bit of seedcake out of my mouth and it was leapyear like now yes 16 years ago my God after that long kiss I near lost my breath yes he said I was a flower of the mountain yes so we are flowers all a womans body yes that was one true thing he said in his life and the sun shines for you today yes that was why I liked him because I saw he understood or felt what a woman is and I knew I could always get round him and I gave him all the pleasure I could leading him on till he asked me to say yes and I wouldnt answer first only looked out over the sea and the sky I was thinking of so many things he didnt know of Mulvey and Mr Stanhope and Hester and father and old captain Groves and the sailors playing all birds fly and I say stoop and washing up dishes they called it on the pier and the sentry in front of the governors house with the thing round his white helmet poor devil half roasted and the Spanish girls laughing in their shawls and their tall combs and the auctions in the morning the Greeks and the jews and the Arabs and the devil knows who else from all the ends of Europe and Duke street and the fowl market all clucking outside Larby Sharons [...] and cactuses and Gibraltar as a girl where I was a Flower of the mountain yes when I put the rose in my hair like the Andalusian girls used or shall I wear a red yes and how he kissed me under the Moorish wall and I thought well as well him as another and then I asked him with my eyes to ask again yes and then he asked me would I yes to say yes my mountain flower and first I put my arms around him yes and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume yes and his heart was going like mad and yes I said yes I will Yes."
(5) Lo schema venne redatto da Joyce per l'amico Carlo Linati al fine di meglio comprendere la struttura del romanzo (http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_Linati). Ad esempio per quanto riguarda il monologo di Molly lo schema riporta i seguenti dati: N°: 18; Titolo: Penelope; Ora: ∞; Colore: stellare lattea poi nuova alba; Persone: Laerte Ulisse Penelope; Tecnica, Arte: Monologo Stile rassegnato; Scienza (significato): ; Senso: Il Passato Dorme; Organo: Grasso; Simbolo: .