6 giugno 2009

INLAND EMPIRE. Tre considerazioni. (1/6)

1. Affrontare la visione di INLAND EMPIRE significa relativizzare la percezione degli eventi che si sottraggono da un ipotetico continuum narrativo immaginato dal fruitore. L’attesa per un risultato (un epilogo o uno scioglimento di uno o più nuclei narrativi) col tempo si è trasformata in una sorta di bisogno, nel senso che il racconto filmico non solo produce risultati ovvi e scontati, ma è il prodotto stesso del nostro bisogno di mondo. La speranza di cambiamento, o il desiderio di una Legge al disopra delle parti, o per altri versi la paura di subire l’arroganza del potere ed anche il bisogno di rappresentare le proprie o altrui costernazioni, contribuiscono a forgiare un mélange apparentemente fertile e denso di idee, bisogni, risultati, dimostrazioni, considerazioni, che è sempre stato presente nella nostra mente. Il nostro sguardo ormai spento, addormentatosi nel fluire di decenni di visioni luminose, di proiezioni ripetitive, di storie sempre più somiglianti a se stesse, fatica a cavalcare l’onda portante dell’immagine, invischiato nel pantano del racconto, senz’altro importante ma col tempo automatizzatosi a causa dell’utilizzo di forme e strutture narrative canonizzate. Con questo non intendo affermare, come scrive Lynch (1), che il cinema è morto o, come direbbe Greenaway, che deve ancora nascere, e neppure negare cento anni di grandi filmografie (mi riferisco ai molti grandi registi del passato e ai pochi grandi registi di oggi). Il problema è che spesso ci accingiamo a vedere il film con (legittime) aspettative e comunque nell'ambito di consolidate relazioni ambientali e culturali. Insomma lo sguardo non è più vergine mentre sappiamo già cosa aspettarci. Semplificando (e sbagliando) verrebbe da affermare che un film è buono quando non riesce a supportare le nostre attese, non riesce a restituirci le nostre proiezioni ed è pessimo quando risponde esattamente alle nostre domande. Andiamo al cinema cercando noi stessi. Ovviamente è vero anche il contrario, ossia quando non entriamo in sintonia con il plot o non gradiamo le immagini (o perché sporche o difettose o sgranate o troppo “buie”) possiamo definire tragicamente il fallimento di un film. De gustibus… Ancora ricordo un amico che definiva “filmoni” solo i film da lui graditi. Non so in base a quali criteri potesse confermare il suo giudizio (perché non esprimeva nessun altro tipo di commento) ma una volta rimasi impressionato dal suo entusiasmo suscitato dalla vista di un grande frigorifero a due porte (mi pare che il film fosse uno dei primi tre Rambo ma non ne sono sicuro): “Questo è un frigorifero Americano” , disse con orgoglio mostrandomi uno smagliante sorriso. Compresi che il film era diventato “filmone” nel momento in cui era riuscito a far breccia nella sua mente (per me aliena) capace di provare un’emozione davanti alla vista di un frigo di grandi dimensioni. Eppure mi pare di ricordare che il suo freezer di casa non fosse poi tanto piccolo. Il modello narrativo di Greimas definisce un numero ridotto di funzioni attanziali che riportano la struttura profonda della narratologia, mentre lo schema narrativo canonico si divide in quattro fasi necessarie per lo sviluppo e l'epilogo del racconto (2). In fondo un racconto per immagini si adatta alle caratteristiche della nostra mente che si comporta allo stesso modo davanti al mondo. La mente non “vede” il mondo ma lo ricostruisce. La realtà viene ricostruita dalla nostra mente in base a certe nostre attitudini e tendenze. Il giardino della mia infanzia (che all’epoca mi sembrava immenso) rivisto da adulto ha assunto le dimensioni di un piccolo fazzoletto di pochi metri quadrati. Lo scippatore che ha strappato la borsetta all’anziana signora aveva i baffi eppure avrei giurato che fosse invece quel ragazzo tarchiato e senza baffi.
2. Un altro aspetto importante è la testimonianza di mondo, ossia la rappresentazione di un esserci nel mondo. La pittura (ma non solo) ha superato questo scoglio da tempo liberandosi dall’ “obbligo” di dover formare proporzioni attendibili, logiche, prevedibili, confrontabili con la “natura”. Poiché sono miope, se mi tolgo gli occhiali, il mio sguardo smarrisce la nitidezza della realtà e si deve accontentare di un mondo più sfumato dove i colori e le forme cominciano a perdere consistenza e a confondersi. Se sono triste, o peggio, sconvolto, cammino tra la folla senza accorgermi della gente che mi sta intorno; e giuro che ogni santo giorno, assorto nei pensieri, passo davanti all’autovelox della superstrada senza rendermi conto della velocità della mia auto. I pensieri si mescolano alle parole, lo sguardo vede porzioni di boschi, una luce lampeggiante riflessa dallo specchietto retrovisore di un veicolo che sta per impegnare la corsia di sorpasso; la mente costruisce un’immagine futura, ad esempio l’ingresso in ufficio o all’università; talvolta un ricordo del giorno prima si fa strada nella bolgia di immagini più o meno “reali”: è l’immagine di un uomo malato che sorride sdraiato su un letto di ospedale e attende l'arrivo di un nuovo giorno come fosse l’ultimo suo giorno. L’altra notte ho sognato un paese sul mare, camminavo per le strade vuote, era in pianura ed era in collina, il mare era ai miei piedi eppure era lontanissimo, la tv mi sorrideva oltre quella finestra di una casetta a due piani; era notte e il paese era cambiato. Mentre guidavo sulla superstrada tutto questo accadeva in un attimo. Come raccontare questo momento?
3. INLAND EMPIRE è più reale di tanti film supposti reali. Ho sentito spesso dire: “Un bel film perché tratto da una storia vera”. Se questo fosse un metro pertinente per valutare la qualità di un film, torneremmo alla teoria dell'arte specchio del mondo. A volte mi chiedo quale sia la vera essenza dell’acqua. È un lago di montagna? È un fiume inquinato? Un’alluvione? Una crociera con escursione a Santorini? Oppure è un nubifragio, una barca di disperati che giunge a Lampedusa. È l’acqua che penetra nel terreno, in profondità, tra radici e lombrichi come in una poesia di Quasimodo: "Fitta di bianche e di nere radici/ di lievito odora e lombrichi, /tagliata dall'acque la terra.// Dolore di cose che ignoro/mi nasce: non basta una morte/se ecco più volte mi pesa/ con l'erba, sul cuore, una zolla"(3). Oppure è l’arida formula chimica H2O? INLAND EMPIRE forse aiuta anche ad intuire la forma variabile dell'acqua che cambia e fluttua nella sostanza magmatica delle nostre emozioni.

(1) cfr. David Lynch, "La morte del cinema", in Acque profonde, Mondadori, Milano, 2008
(2) cfr. Algirdas Julien Greimas, Del senso, Bompiani, Milano, 1974.
(3) Salvatore Quasimodo, "Dolore di cose che ignoro" in Acque e Terre (1920-1929).

20 commenti:

Artax ha detto...

Bhé Anonimo se hai smesso poi di leggere, hai fatto male...

@Luciano. Il dipanarsi delle tue riflessioni-confessioni è molto interessante e certamente attinente a Inland Empire, almeno nella domanda che passa nelle teste di tutti guardando un film di Lynch, cosa sto guardando?...che storia è? Ma personalmente dopo avere preso in considerazione quello che descrivi anche tu, la domanda che mi pongo io è: ha senso metterla in scena come fosse una coscienza acquisita? Cioè rendere evidente la coscienza?...io mi rispondo, si, ma poi mi chiedo: che tipo di coscienza produce l'assistere all'esplicazione della nostra coscienza della realtà?...catarsi? una purificazione della percezione?...le butto lì, perché non credo di saper rispondere per ora...
Però a volte mi sembrano inaridirsi in puro mezzo, diventare struttura, stilema, formalismo...
almeno ne ho l'impressione.

Chimy ha detto...

Erano mesi che aspettavo la tua analisi su INLAND EMPIRE e sei partito alla grandissima.

Fra i tre paragrafi mi è piaciuto, e interessato, forse più degli altri il secondo: il raccontare la presenza, l'essere nel mondo.
Inoltre leggendo quelle righe ho proprio pensato al cinema di Lynch... la superstrada, l'auto, la notte.. elementi sempre presenti in Lynch, e soprattutto in Strade perdute che è un film allo stesso tempo vicinissimo e distantissimo da INLAND EMPIRE.

Attendo con ansia gli altri,

Un saluto :)

Luciano ha detto...

@Artax. Mi devo scusare (con te ma non con l'Anonimo) per avere eliminato il commento. Di solito detesto cancellare commenti ma mi sento obbligato a farlo quando si presentano contemporaneamente due condizioni: un commento offensivo con turpiloquio e non firmato. Nel senso uno può anche scrivere parolacce (entro certi limiti) ma almeno che si firmi.

Questi tuoi dubbi mi fanno anticipare ciò che riporterò in uno dei sei post su INLAND, ossia una sorta di flusso di coscienza dell'io narrante e questo mi rammenta l'Ulisse di Joyce dove una coscienza fluttua in una giornata (dalla mattina alla sera) in una Dublino del 1904. Il problema secondo me dovrebbe scaturire da una visione "ortodossa" nel senso di un rapporto realtà-opera d'arte inteso come rapporto di imitazione. Ho fatto mia questa riflessione di Eco riguardo all'Ulysses di Joyce (che potrei inserire in un post) quando afferma che il monologo interiore registra il flusso di coscienza di un personaggio solo se si accetta la riduzione del vero a ciò che è detto dall'artista. In altri termini c'è la supposizione di ridurre l'universo reale all'opera. La tensione nasce proprio da questo passaggio: dal mondo all'interno del pensiero. In fondo non è ciò che facciamo in ogni attimo della nostra vita?

Luciano ha detto...

@Chimy. Grazie perché ti confesso che scrivere su INLAND mi mette in soggezione. Strade perdute... solo pensare a questo film mi vengono i brividi. Un'altra opera encomiabile di Lynch.

A presto^^

Michael ha detto...

Buonasera a tutti e buonasera soprattutto a Luciano. Mi sono imbattuto, grazie principalmente ad un'amicizia comune con Luciano, nel vostro sito e avendo visto recentemente Inland Empire, ho divorato le tue parole con interesse e avidità (anche se a tratti ammetto di non aver capito il senso di alcune tue riflessioni). Questa tua guida all'esegesi dell'ultima opera di Lynch è sicuramente affascinante e costruttiva, ovviamente porta un giudizio che nobilita a sommi tratti la pellicola. Io mi affido e a volte sbaglio lo so, alla suggestione che il film mi trasmette. Non ho che una vaga conoscenza sia letteraria che cinematografica quali strumenti per poter portare argomentazioni al mio giudizio, ma rifacendomi a opere precedenti dello stesso regista, devo ammettere che non mi è stato per nulla facile lasciarmi condurre all'interno di un dedalo oscuro e asfissiante quale i labirinti contorti di Inland Empire. Certo, le diverse strutture narrative quasi implosive e spesso semplicemente fuorvianti per la semplice ragione di non aver un vero costrutto ma essere, come spesso accade nel cinema di Lych, mera velleità dell'autore, danno un legame che mantiene in fin dei conti il film in un galleggiamento di coscienza vaga. Con questo intendo che la noia, qui molto più che in altri casi troppo spesso tende a presentarsi non invitata e annacqua tutte le suggestioni, gli incubi e le inquietudini che di solito abbraccio estasiato. Non è probabilmente corretto paragonare Inland Empire a Mullholland Drive, ma ho trovato che per portare un film ad un pubblico solitamente, oltre alla mera e arida necessità economica, ci sia un desiderio di mostrare delle intenzioni. Questo avevo percepito in Mullholland Drive. Che esse siano di condivisione di una propria visione o che semplicemente esse siano provocazione atta a suscitare sui fruitori finali un fastidio o addirittura ribrezzo per quello che si esprime l'importante non è in questo caso la causa ma l'effetto derivato. In Inland Empire attraverso i 172 generosi minuti di proiezione spesso mi sono sentito in silenzio. Ed era un silenzio forzato, privo di attrattive. A questo mi ricollego col discorso di Luciano sula visione di reciproco riflesso cinema/realtà quotidiana o fatto di cronaca. Il frigorifero a due ante se smontato, senza elettricità, con i suoi pezzi sparsi in una camera e privo di un manuale di istruzione per l'installazione può avere un fascino, ma alla fine è come comprare un modellino di portaerei da costruire e tenerlo sempre imballato perché in fin dei conti non bisogna curarsi del suo risultato ma del gusto di possederlo. Vedo questo voler dare merito a Inland Empire come ad un voler mangiare la farina e lievito e piazzandosi davanti al camino aspettare che diventi pane direttamente nello stomaco. Certo può succedere, ma nel frattempo ci siamo persi il gusto del pane....

Chiedo scusa, mi rendo conto che sono andato troppo a ruota libera come spesso mi accade quando scrivo di getto, ma provo piacere a condividere opinioni con gente così istruita della materia cinematografica da suscitare in me ammirazione e desiderio di confronto. Buonanotte a tutti e grazie

Artax ha detto...

@Luciano. Figurati, non c'è bisogno di scusarsi:).

So che intende Eco, quando parla del concetto di mimesi definendolo come dici e il nominare l'Ulisse mi dà man forte per spiegarmi meglio. Mi sono sempre chiesto se fosse più mimetico, che non è sinonimo necessariamente di autentico, il flusso di coscienza Joyciano o il monologo (magari in discorso libero) dostoeskiano. Ed è questo che fa nascere le mie perplessità, questo dubbio, benché conosca la portata e il valore dell'invenzione del flusso di coscienza. Riportandolo al cinema è un po' come accostare, sempre secondo lo stesso schema, Strade perdute (una sorta di flusso di coscienza) a che so...Spider di Cronenberg, pieno di analessi e prolessi, ma con una coerenza.
Io credo che il problema poi stia tutto nel punto di vista rispetto alla ricezione, è come se nel primo caso nel tentativo di riprodurre la realtà interiorizzata si creasse un distacco con il "lettore-spettatore" (infatti Lynch tenta di superarlo attraverso i mezzi classici del particolare uso della musica, colpi di scena, ecc., insomma colpendo emotivamente); mentre nel secondo mettendo in scena il contrasto tra l'interiorità e l'esterno (indipendentemente da se si possa andare all'esterno nella realtà) si immerge completamente lo spettatore in un punto di vista interno. Questo è un po' il mio parere, ciò non toglie che io ami molto Lynch e speriamo continui a fare film così, anche perché la complessità di Inland Empire va al di là di ciò che ho appena detto.

Cmq devo ringraziarti, è sempre piacevole e interessante avere scambi in questo blog, soprattutto per la tua apertura, il contrario dello snobbismo e dell'autoreferenzialità...quindi non far caso ai commenti anonimi ;).

Luciano ha detto...

@Michael. Mi fa molto piacere sapere che abbiamo un amico/a in comune. Posso immaginarmi chi sia, ma sinceramente non ne sono sicuro. Capisco e sento molto il tuo ragionamento sulla "noia". È ovvio che su INLAND si possa dire di tutto (nel bene e nel male) fuorché sia un film di intrattenimento; questo comporta anche che possa annoiare. Fermo restando che la noia è un "atroce" sentimento individuale (personalmente mi annoio più spesso vedendo certe commedie americane - senza parlare di certo cinema italiano natalizio che non oso neppure guardare), almeno per quanto mi riguarda INLAND non mi ha annoiato, ma mi ha impegnato, nel senso che paragonerei la prima visione del film a una prima lettura di un canto della Divina Commedia. Questo non vuol dire che la Commedia di Dante non sia avvincente. Al contrario, lo è moltissimo e questa "enciclopedia del medioevo" nasconde un'infinità di sottotesti e trattati e registri linguistici che magari non risultano visibili ad una prima lettura. Scoprire questa ricchezza porta a voler penetrare in questo mondo, la passione aumenta e la "fatica" viene premiata da una certa intensa soddisfazione personale. Questo credo valga anche per INLAND. D'altronde sarebbe presunzione pretendere che INLAND possieda la capacità di catturare l'interesse di tutti o suscitare emozioni in tutti. La metafora del pane, azzeccata ed anche molto affascinante, se permetti la faccio mia proprio per ribadire che secondo me il "sapore" del pane, sempre lo stesso e identico, ci ha fatto dimenticare il significato profondo di questo alimento. Ci cibiamo di pane, masticandolo senza farci caso. Ebbene secondo me INLAND può risuscitare il sapore del pane tramite la conoscenza, nel senso che mangiandolo possiamo sentire il profumo del campo di grano indorato dal sole e la fatica della messe, come la macina delle cariossidi e possiamo assorbire l'odore dell'impasto lievitato che cuoce tra le legna sfrigolanti nel forno. Il pane acquista un senso che avevamo dimenticato e il sapore diventa un sapere che afferisce ad una nuova emozione.

Ti prego di portare i miei saluti all'amico comune.

A presto.

Noodles ha detto...

Non c'è dubbio che INLAND EMPIRE chieda molto allo spettatore e che in modo quasi perverso - secondo me un po' anche voluto da Lynch - gli nega qualsiasi appiglio. Con questo film ho avuto un'esperienza curiosa: mi aveva molto affascinato al cinema, ma quando l'ho riguardato a casa non riuscivo a reggerlo fino in fondo. Mi sentivo troppo perso. Era come guardare un puzzle non composto, dei pezzi ammucchiati uno sull'altro. Forse sono io che non lo capisco eh. Ma l'idea di visionarlo di nuovo mi fa venire le vertigini, devo ammetterlo. Questa evoluzione estrema - digitale - di Lynch mi spaventa. Inoltre Non riesco a levarmi dalla testa che IE possa essere un enorme mcguffin sardonico ai danni dei critici: cioè che Lynch si sia fatto volutamente ancora più oscuro e abbia scelto l'oscurità per l'oscurità, senza nulla dietro, proprio per guardare poi alla ronda di teorie che i critici si sarebbero inventati.
Ora, per carità, si sa che molta dell'interpretazione spesso va anche oltre le effettive - coscienti - volontà dell'autore, e su questo non discuto. Ma il senso che IE sia una raffinata e insopportabile (nel senso buono, nel senso di cinema proprio fisiologico, che smembra lo spettatore) non riesco a levarmelo.
Insomma lo preferivo esploso ma con una macroscopica cesoia (Mulholland dr.). Anche se Lynch negava un troppo netto e facile rapporto onirico tra le due parti (ne sono emerse anche altre, alcune squisitamente "televisive" che lo vedevano come un serial in fieri, costruito e messo davanti allo spettatore non finito, con un buco in mezzo, il primo e l'ultimo episodio), anche negando la bipartizione interpretativa, preferivo quell'aggancio a questo marasma. Forse sono stato deluso come scrivi da ciò che ho visto, non son riuscito ad appigliarmi a molto e allora procedere spaesato per tre ore è inammissibile.

Luciano ha detto...

@Artax. Quando si discute di monologo dostoevskijano non posso che inchinarmi davanti a uno dei maestri della letteratura di tutti i tempi. Leggere Dostoevskij è come entrare in un mondo che presenta sempre nuovi percorsi di conoscenza, storie dentro storie, dialoghi con monologhi, monologhi con dialoghi (stupefacente per me l'episodio Il Grande Inquisitore). Joyce e Dostoevskij sono due grandi artisti. Le loro opere mi piacciono diversamente, così come apprezzo i lavori di Cronenberg. Per quanto riguarda il flusso di coscienza e il modo di procedere di Lynch in INLAND credo che non si tratti solo di trascinare il lettore/spettatore nell'interno, ma appunto di fargli attraversare le alternative al plot prevedibile, nel senso che non è in gioco solo il pensiero dell'io narrante (a cui riconduce il monologo) ma anche il flusso di un pensiero che attraversa altri personaggi, eventi, oggetti, tempo (la complessità di INLAND di cui giustamente hai scritto). È un tentativo di dar forma ad un modo diverso di raccontare (Eco nel suo saggio afferma anche che Ulysses è un racconto epico): gli eventi del fuori scaturiscono dal dentro ed è come se ascoltassimo l'esterno come facciamo con la nostra voce. Con questo non intendo affermare che altri stili di narrazione o modi di girare un film sia meno validi. Si tratta di sperimentare e cercare nuove forme di conoscenza. Questo ovviamente può comportare fatica e sacrificio, ma l'arte credo non dovrebbe conoscere limiti o cristallizzarsi in strutture inamovibili.

Luciano ha detto...

@Noodles. Non ci crederai ma il film mi fa lo stesso effetto suscitando in me vertigini e ansia. Ma provare perdita di equilibrio, spaesamento, sensazione di non riuscire a controllare gli eventi (in fondo la stessa che proviamo tragicamente ogni giorno), paura del futuro, timore per un passato con il quale abbiamo dovuto o dovremo fare i conti, insomma tutto questo mi spaventa. Confesso che INLAND mi spaventa. Per me è il film più orrorifico che abbia mai visto (anche se non ho molta esperienza di film horror), ma allo stesso tempo mi affascina proprio perchè quando un film riesce a farmi provare le vertigini, a vedermi coinvolto in un infinito effetto Droste, per me quel film è stupendo. E questo mi capita raramente. Mulholland dr. mi è piaciuto molto, un grande film (ho esordito proprio postando sul mio neonato blog una recensione di questo film). Su Mulholland dr. scrivevo: "... le infinite possibilità del testo, che si trasforma (o meglio ancora si deforma) attraverso e/o tramite la mente dello spettatore evoluto, non passivo ectoplasma che assorbe e sogna le ombre proiettate sullo schermo bianco, ma creatore-dio, assemblatore delle immagini in sé. All’autore/regista non rimane che allontanarsi nel suicidio reiterato..." . Cioè voglio dire che Mullholand è l'inizio del percorso (anche se in fondo Lynch ha iniziato subito questo straordinario percorso). In Mulholland allo spettatore il compito di decostruire e ricostruire, decidere, assemblare, ma per me in INLAND il compito allo spettatore di perdersi di dannarsi di alienarsi nel flusso degli eventi, nell'angoscia di un multipercorso asincrono.

Weltall ha detto...

Ti confesso che appena uscito dal cinema mi sentivo spaesato ma affascinato. Credo siano le emozioni "istintive" che una pellicola come INLAND EMPIRE suscita se ci si lascia travolgere dal suo flusso di immagini, musica e suoni.
La mattina dopo ero convinto di aver visto una delle cose più belle e spaventose di sempre e ne sono convinto ancora adesso. Attendo perciò i tuoi prossimi cinque post con molto interesse ^__^

Giuseppe(eraservague) ha detto...

aspettavo da tempo l'inizio della tua analisi/critica su INLAND EMPIRE,io sto terminando la mia tesi di laurea proprio su questo film, anche se la mia analisi viene affrontata più su un piano di tipo semiotico-generativo che interpretativo, e non ti nascondo le difficoltà che ho trovato alla base di un'analisi di questo tipo (che puoi perfettamente immaginare) per un film come questo. Sono uno di quelli che è sempre stato convinto di una linearità interna del film, non come narrazione, ma come narratività, dove niente è lasciato al caso per quanto il film ad una prima lettura sembri dimostrare il contrario,ed è questa l'idea di base che mi ha spinto ad un'analisi prettamente testuale. Non so che strade prenderai per proseguire la tua analisi,ma sono veramene curioso di leggerti proprio perchè ammiro molto il modo in cui tratti certi temi e come li argomenti. E ovviamente non mancherò d'intervenire.

a presto

Luciano ha detto...

@Weltall. Provo le tue stesse emozioni e mi stupisco che dopo ogni visione continuo a rimanere affascinato e smarrito da questo incredibile film. Grazie per l'interesse^^ A Presto.

Luciano ha detto...

@Eraservague. Mamma mia! Adesso che so che ti stai laureando su un film simile dopo ogni post attenderò con apprensione i tuoi commenti ;) A questo punto mi piacerebbe leggere una tua recensione. Grazie per la fiducia (e per l'ammirazione)e in bocca al lupo per la tua tesi.

A presto.

Anonimo ha detto...

"Il nostro sguardo ormai spento, addormentatosi nel fluire di decenni di visioni luminose, di proiezioni ripetitive, di storie sempre più somiglianti a se stesse, fatica a cavalcare l’onda portante dell’immagine, invischiato nel pantano del racconto, senz’altro importante ma col tempo automatizzatosi a causa dell’utilizzo di forme e strutture narrative canonizzate."

Non sai quanto sono d'accordo. La gente ormai cerca sempre la stessa storia e se non la trova rimane delusa. Con Lynch questo non mi è mai successo e credo che non mi succederà mai. Ho un doppio sentimento verso questo film che purtroppo non ho ancora avuto modo di vedere: curiosità spasmodica e timore reverenziale.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. In effetti il film è molto interessante e un certo timore affiora ogni volta che inizio a vederlo. Però ogni volta non resisto, perché lo sguardo vuol sempre andare oltre. Spero che tu riesca a vederlo presto in modo da poter leggere una tua recensione.

Vale ha detto...

Ciao Luciano,
beh come fare a commentare un tuo qualsiasi post rendendo giustizia ad ogni singola importante considerazione?
sono perfettamente daccordo con te. Io personalmente penso di appartenere di piu' a quella categoria che si fa prendere di piu' da un film quando ci ritrovo qualcosa di me, una parte di me...
Cosi' è stato per questo film, pur non avendo una struttura narrativa ben precisa, canonica e ben decodificata posso dire di aver ritrovato molto di me e del mio vissuto. Forse ci vuole tanta immaginazione o forse anche una buona dose di pazzia, tuttavia mi sento di poter dire che anche nella vita reale di tutti i giorni possiamo crearci delle immagini e delle percezioni che sono lo specchio del nostro passato, presente e futuro.

Luciano ha detto...

@Vale. In effetti a prima vista sembra incredibile che un film apparentemente tanto "difficile" possa trascinarti dentro e mostrarti ogni sfaccettatura dell'inconscio. Da un simile visione se ne esce sconvolti. Come affrontre lo sguardo impietoso del proprio essere?

A presto^^

iosif ha detto...

lo sviluppo della narrazione nella teoria strutturalista e i termini della sua rottura (spesso prefigurata nella teoria stessa), sono cose che m'hanno sempre interessato parecchio. ci scrissi anche la tesi, prendendo in considerazione altri autori, ma lynch e inland empire possono essere sicuramente delle basi per un discorso interessante.

ciao, passo al secondo capitolo.

Luciano ha detto...

@Iosif. Deve essere molto interessante una tesi sulla "rottura della narrazione". Mi piacerebbe leggerla.