30 novembre 2008

La ronde (Max Ophuls, 1950)

Un film che fa assaporare per un attimo l’estinzione del tempo, trasformando il movimento-spazio in un giro inestricabile nei luoghi persi della quotidianità. In una delle sequenze più belle il “meneur de jeu” (probabilmente voce-in extradiegetica che rimane sulla soglia del film dialogando con personaggi e pubblico, ma che non entra a far parte della storia raccontata) (1), nell’introduzione dell’episodio “La cameriera e il giovane”, mentre sta camminando sul set dell’episodio precedente, rivolgendosi alla cameriera Marie, proferisce la seguente frase: “Passeggiamo nel tempo”. E Marie risponde: Due mesi… luglio è lontano”. Ma nel momento in cui la ragazza pronuncia queste parole, una dissolvenza incrociata ci mostra il nuovo abito da cameriera di Marie che sta per uscire dal precedente episodio per farsi accompagnare sulla soglia della sua storia (appunto “La cameriera e il giovane”). Ovviamente si tratta di un’ellissi, ma ritengo che ci troviamo di fronte alla formazione di un’assenza. Un’ellissi senza ellissi (ovvero il salto temporale c’è, ma poiché il tempo è annullato dai deittici presenti sulla scena, come ad esempio l’anticipazione dei fatti alla cameriera, l’ellissi evapora nel senso). Nel film Ophuls usa molti stratagemmi per coniugare le esigenze semantiche della storia (nel senso: “ascolta, ti racconto alcune storie interessanti e illuminanti sull’amore e il piacere”) con i presupposti irrinunciabili del filmico (ossia la presenza costante del set che Ophuls non disdegna di mostrarci in quasi tutte le sequenze). In altri termini: siamo nel regno della deissi e alle soglie del cinema moderno. Questi continui passaggi tra classicità della storia (ma nemmeno tanto) e modernità del meccanismo (il narratore che dialoga con personaggi e pubblico, e le marche enunciative come oggetti del set che vengono mostrati, quali lampade, macchine da presa, proiettori, ciak) sospendono il flusso del tempo, adottando una prospettiva atemporale e circolare dove il peso del racconto riesce a piegare la dimensione “ovattata” (la storia è immaginata agli inizi del secolo scorso) dello spazio-tempo. La ronde, la giostra, mostrata nell’incipit (da cui scende il primo personaggio, la prostituta Léocadie, subito accompagnata a recitare nel primo episodio), prende forma a vari livelli. Mi limito ad elencarne solo alcuni: metaforico, semantico, diegetico, strutturale.
La metafora del cerchio che connette e completa gli eventi, la giostra che gira, riportando ogni cosa al principio, senza arrivare da nessuna parte. Giostra come metafora della vita, delle passioni, del piacere che non portano a niente, perché nulla (se non un’improvvisa rottura della pellicola) può fermare il giro. Le coppie si formano e si disfanno. Il personaggio di un episodio, abbandonando l’amato o l’amata, prosegue il suo tour nell’episodio seguente, danzando con un altro amante, il quale a sua volta fugge in un’altra storia seguente con un altro ennesimo personaggio, fino a quando il cerchio si chiude riportando la storia al principio (il primo e ultimo personaggio è la bella Léocadie interpretata da una giovanissima Simone Signoret). A questo punto tutto può ricominciare a fluire per l’eternità davanti al nostro sguardo. Nessuno scende dalla giostra. Il cerchio è una sorta di girone infernale occupato da anime condannate a vivere le loro frivole storie, non melodrammatiche ma appunto “mortali”, perché l’odore della morte accompagna incredibilmente la “leggerezza” degli eventi che si ripetono senza soluzione di continuità. La metafora ultima in fondo è un ultimo valzer a Vienna (città dov’è ambientata la storia) cercando di dimenticare la chiusura del senso di ogni cosa. Nel vorticoso e “circolare” movimento dei personaggi che danzano (balli, camminate, scale scese e salite) l’attesa di una sconfitta in fondo aleggia lungo ogni sequenza.
Il valore del “messaggio” ci trascina nel gusto tipico di un’epoca “felice”, spensierata, l’inizio secolo di una Vienna dove la vita viene scandita dalle tematiche care alla Secessione viennese (2), ma è come se ci trovassimo invischiati nei lugubri meandri del Romanticismo francese (la donna sposata a letto legge Stendhal) dove l’happy ending è stilema sconosciuto. Gli eventi ci trascinano nelle speranze e nelle delusioni che vengono farcite da altre storie. Per dimenticare il fallimento di un matrimonio, senza nemmeno sapere perché accada tutto ciò, si cerca un’altra speranza o un’altra impossibile fedeltà. Nell’episodio “La donna sposata e suo marito”, il consorte, pur non essendo a conoscenza del tradimento della moglie, è teneramente consapevole della vuota convivenza e della perdita di una fedeltà mentale e frequenta un’amante “cocotte” che nutre nel separè di un ristorante alla moda richiedendo una impossibile fedeltà. Il cerchio non è soltanto una metafora della vita (e della morte) ma è anche un senso che non riusciamo a perdere (facciamoci comunque del male, direbbe Nanni Moretti).
L’aspetto diegetico in fondo scandisce ogni cosa, ogni movimento, ogni frase del film. Lo dice il presentatore nell’incipit. Una Vienna d’altri tempi. Una freschezza che non c’è più. Nostalgia per un passato che è l’unica certezza. Innanzi tutto perché è l’Accaduto e in quanto tale può essere ricordato come un mare immobile, congelato e quindi relativamente semplice da scandire, inoltre nel passato può innestarsi la nostra ricostruzione più o meno romantica, più o meno nostalgica, più o meno gradevole. Tutto viene stemperato perché non c’è timore per l’Imprevedibile e la speranza non ha alcuna forza o potere nei confronti della nostra fantasia. Non c’è timore e le storie possono connettersi senza drammi. Non melodramma ma regno del libertinaggio dove la menzogna e l’astuzia prendono il sopravvento. Allora il contatto tra personaggi e pubblico (3) già di per sé molto “patetico”, in quanto le storie apparentemente frivole scorrono nella mente come ricordi di un tempo perso e impossibile da ritrovare (4), si alimenta del “nostro” modo di vedere, conoscere e/o immaginare una Vienna del 1900. Ma la mimesi non prende il sopravvento (e non potrebbe) sia per la distanza dei mondi (l’inizio del XIX secolo viennese, il 1950 di Ophuls e il mondo post-Due Torri entrato in un immaginario culturalmente molto distante), sia per l’effetto di “straniamento” (5) procurato dalle intromissioni nella storia da parte del discorso. Ovvero, il discorso fatica a rimanere sepolto sotto la storia, mimetizzato nelle pieghe del plot e “inscatolato” nei corto-circuiti delle connessioni (montaggio ma non solo); deve uscire allo scoperto, mostrarsi per affermare l’importanza del dispositivo, mostrarsi perché l’arte “parla” prima di tutto di se stessa o al limite del suo rapporto politico con il mondo.
I movimenti di macchina sono quelli tipici di Ophuls: carrellate circolari, dolly, movimenti fluidi e leggeri (e si pensi che all’epoca non era semplice muovere la macchina da presa come oggi); inquadrature "dinamiche" in cui i personaggi si muovono sovente, correndo, ballando, camminando, salendo e scendendo scale, scomparendo dietro specchi, attraversando vetrate e porte per riapparire subito dopo sempre “inseguiti” dall’obiettivo attento e preciso di Ophuls. Praticamente lo scheletro, la struttura, il discorso (ognuno decida di definire come vuole il principio di costruzione di un film) esce allo scoperto, si fa esoscheletro, diventa esso stesso l’oggetto del discorso, diventa metacinema. Le storie d’amore e di desiderio a questo punto attraversano i vari set, si aprono e si chiudono seguendo la volontà del regista (un uomo qualunque, un montatore, una comparsa) che interrompe taglia, aggiunge, si intromette dialogando con i personaggi assumendo ogni volta una forma diversa. Questo tipo di cinema sarà recuperato dai “giovani turchi” che si ricorderanno di questo grande Maestro quando gireranno gli splendidi film della Nouvelle Vague. Eppure ritengo che La ronde ci invii messaggi diversi, come una strada nuova, mai praticata, se non da percorrere, almeno da conoscere topograficamente. Un esempio illuminate di ciò che intendo affermare riguarda una delle tante ellissi “atipiche” de La ronde: nell’episodio “L’attrice e il Conte”, Charlotte (l’attrice mirabilmente interpretata da Isa Miranda), mentre sta circuendo il suo caro Conte, allo scopo di tranquillizzarlo, dice: “Nessuno ci vedrà… se non noi soli”, ma la mdp con una lieve carrellata verticale inquadra uno specchio incastonato sul soffitto del baldacchino che sovrasta il letto di Charlotte, contraddicendo la frase appena pronunciata dall’attrice. Solo un’ellissi può riportare il film sulla “giusta” strada. Ma l’ellissi viene annullata non da un’assenza (che sarà ricostruita poi dalla nostra mente) ma da un deittico: in questo caso da una breve sequenza che mostra il regista, uomo qualunque, personaggio, adesso nelle vesti di montatore intento a tagliare la pellicola, con le immagini inopportune del rapporto amoroso, incollando le parti del film non compromesse dalla sequenza incriminata. La ronde ci regala questa capacità di “estrarre” la storia dalla sua “forma” prescelta, mostrando il meccanismo, ma soprattutto mostrando l’ineluttabilità dell’Accaduto, sia esso identificabile in un’epoca piena di fiducia e di spregiudicatezza, tra l’altro magnificamente ricostruita dal film, sia da interpretare come l’atto di un regista “apolide” che amava il cinema non solo come prodotto finito ma come principio di costruzione, lavoro, fatica.

(1) Sandro Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Le Lettere, Firenze 1994, p. 83.
(2) Secessionisti furono pittori, architetti, designer, scenografi come Klimt, Wagner, Olbrich, Hoffmann, Moll, Moser, Roller. Per i “secessionisti” era anche molto importante tenere conto della presentazione delle opere da esporre oltre che della loro scelta; pertanto elaborarono un modello complessivo in cui, oltre alle opere d’arte esposte nelle mostre, si teneva conto dell’architettura d’interni, del decoro e delle arti applicate, allo scopo di creare un ambiente coeso (modo di esporre le opere, tappezzerie, colore delle pareti, fregi e ornamenti vari, forma delle sale, ecc.)
(3) Supponiamo un pubblico di oggi, di questa angosciante alba del III millennio, tanto per complicare le cose.
(4) Volendo prendere solo un vago spunto dalla Recherche.
(5) Victor Sklovskj, L'arte come procedimento in Teoria della prosa, Einaudi, Torino 1976, pp. 5-25

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Cioè mi inchino alla straordinarietà di questo post. Mi sono veramente tuffata nel film pur non avendolo ancora visto. Soprattutto ho apprezzato la "descrizione" della regia, che mi ha incuriosita oltremodo sulla pellicola e anche il discorso metaforico della giostra.
Ale55andra

Luciano ha detto...

Ale55andra. Secondo me un film fantastico assolutamente da vedere. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato il mio post, ma il merito è della straordinarietà di questo film. Ti ringrazio^^

Anonimo ha detto...

Grandissimo film e grandissima recensione.
Purtroppo è l'unico che ho visto di Ophuls finora... recupererò a breve.

Un caro saluto

Anonimo ha detto...

mi prefiggo da tempo di colmare la lacuna dei film di ophuls, prima o poi vi riuscirò...

simone b.

Luciano ha detto...

@Chimy. Un film eccezionale, una chicca per i cinefili. La filmografia di Ophuls è di tutto rispetto e ogni suo film merita una visione. Ti ringrazio^^

A presto!

Luciano ha detto...

@Simone. E io leggerò con piacere la tua recensione. A presto.

Anonimo ha detto...

Un altro di Ophuls...mi cogli di nuovo impreparato..ciao

Luciano ha detto...

Mash84. In effetti Ophuls, anche se è stato un grande regista, è poco conosciuto. Ciao e grazie per la visita!

Alberto Di Felice ha detto...

Ophüls è meno visto di quanto dovrebbe, sì. Per me il suo più bello è anche quello meno "bello", cioè "Lettera da una sconosciuta".

Luciano ha detto...

@Artaud. Merci^^

@Alberto. Senza dubbio "Lettera da una sconosciuta" è un altro grande film. Indimenticabile.

Anonimo ha detto...

Straordinario... sei riuscito a parlare di questo film in modo mirabile, illustrando tutta la magia nascosta in questo film sublime. Non era per nulla facile... Non mi stanco di essere ripetitivo: complimenti vivissimi. Per la scelta del film e per la stesura di un post così pregevole.

Un carissimo saluto

Luciano ha detto...

@Pickpocket. Sei generoso^^ ti ringrazio. Questo film, come hai scritto nel commento, è sublime, è un esempio di cinema moderno (attualissimo se non altro per i movimenti di macchina) girato però nel 1950. Non posso che dire: incredibile!
Un caro saluto.