27 agosto 2008

Ferro3 - La casa vuota (Kim Ki-duk, 2004)

In un’intervista Kim ki-duk ha detto che non gli piace giocare con la macchina da presa o con il montaggio perché “durante la ripresa il massimo sforzo deve essere dedicato alla recitazione e alla costruzione dello scenario”(1). Quindi movimento dei personaggi e cura del quadro, cura della scena come luogo pittorico e differenziazione degli oggetti in quanto componenti fondamentali della storia, ma anche del tratto come percorso obbligato per comporre il disegno. In Ferro3 gli attanti si sviluppano attraverso l’inesauribile ricorso al silenzio. Nel film non si sente il bisogno della parola o almeno il dialogo non determina e non influenza il travaso del sapere dal mittente al referente, in quanto il sapere (la particolare storia d’amore tra Tae-Suk e Sun-hwa) è già “contenuto” nell’immagine in sé (non nelle sequenze ma in un’immagine). Il fantasma che “occupa” gli appartamenti e ripara gli oggetti è la sutura interna di un montaggio in fieri che Kim ki-duk “cuce” davanti all’obbiettivo attraverso la cura dell’immagine e il récit. In questo senso gli oggetti prendono il sopravvento, acquistano valenza di personaggi tout court non in quanto rappresentazioni di un agire che segue la linea temporale degli eventi, bensì in quanto forme del mondo catalogate e ricomposte seguendo altre coordinate. L’oggetto diventa la causa e allo stesso tempo il porta voce silente di un rapporto e, in quanto concreta durezza del vissuto, materia e colore di un ricordo, deforma i corpi intesi come essenze evanescenti in balia degli eventi. Poiché il parlato è pressoché assente, le relazioni tra i due personaggi sono sensoriali, sensibili, tattili; i corpi comunicano senza uso della parola o della ragione. Condividere sensazioni e “situazioni” corporee conduce verso la fusione di due differenti soggetti, fusione delle percezioni e dei sensi in un unico corpo (estesia). Il sapere (il racconto) è già inscritto nel cerchio formato dalla pallina colpita dal ferro, in quanto pallina bucata e legata al suo baricentro. Il cerchio che forma (o che tenta di formare) non aggiunge niente alla sua ricerca di una fuga. La forza centrifuga che produce riesce talvolta a rompere la corda procurando solo indebolimenti del senso (la donna colpita in auto sopravviverà?). La scomposizione interna al quadro, la ricerca di una forma ulteriore che sottolinei il rapporto con le cose, conduce a una ridefinizione dello spazio dove “i pezzi” non stanno al loro posto (i cuscini spostati, la foto di Sun-hwa tagliata e ricomposta senza seguire una “logica” formale, i non-occhi dell’immagine del pugile, la cornice senza il suo “contenuto”). Il tratto (fluida leggerezza dei movimenti che accarezzano l’aria) e il colore (gli oggetti, i lividi di Sun-hwa che svaniscono di sequenza in sequenza e il sangue della donna colpita o quello del labbro rotto di Tae-Suk) si attenuano, quasi evaporano davanti al nostro sguardo; perdendo la propria consistenza abbandonano gli eventi in un substrato mentale che ognuno potrebbe ricucire a piacere. Tae-Suk è morto in carcere e quello che vediamo è il suo fantasma? La donna è impazzita e vive in un'altra dimensione immaginando l’amore per Tae-Suk mentre in realtà subisce i duri effetti del Reale? Ma questa attenuazione dei significati evidenzia la forza del segno e del materiale che invade la scena, affiora sulla tela, colpendola nel cercare di coprirla, mostrandola sperando di celarla. Tae-Suk tenta di dare una forma alla materia (ripara oggetti, lava, si lava, cucina) occupando altri spazi al fine di vedere e sostenere altre storie, altri racconti che non sono i suoi. L’esperienza visiva (ma anche invasiva come furto di una visione intima) si compensa nella formazione in atto di una funzione poetica, ossia nella possibilità che abbiamo di vedere la nascita di una poesia. Infatti il protagonista maschile Tae Suk e la sua amante Sun-hwa vivono nel silenzio per tacere di fronte alla durezza e all’ostilità del mondo (espressa dalla parola degli altri personaggi), cercando di esprimersi con il proprio corpo, dialogando tra loro con gesti e sguardi, ma anche con una sorta di magnetismo telepatico che scivola oltre l’immagine (spesso nei riflessi dello specchio o in un alone di sfocato). Questa valenza informale che taglia e brucia la tela, che sgocciola il colore sui corpi, rappresenta per lo sguardo il momento stesso, il principio di costruzione dell’opera. Assistiamo all’amore non come sentimento che sublima l’accadimento ma come momento di nascita e crescita dell’opera, afferriamo il senso della funzione che si sviluppa davanti ai nostri occhi, quella funzione rappresentata dal peso zero del suo corpo. L’immagine della bilancia che indica lo zero (occupata dai corpi dei due amanti), sul piano metafisico potrebbe essere la misura della morte (i due amanti non esistono nel mondo) o l’ectoplasma degli spettatori che invadono la scena con lo sguardo. Oppure potrebbe essere il risultato di un’equazione determinata dai segni in via di formazione (esempio x+a =0). Insomma stiamo assistendo alla nascita della poesia, un momento emozionante che rapisce la mente privandola di ogni appiglio (durante la visione ho scelto liberamente il mio fantasma personale, abbandonando ideologie e luoghi comuni, anche se per pochi attimi). Come afferma Coletti analizzando il lavoro di Jakobson, Linguistica e poetica (2), “[…] «la funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione». Vale a dire, nella concreta esecuzione del linguaggio “poetico”, l’equivalenza, la similarità degli (tra gli) elementi (parole, sintagmi, ecc.) prevalgono sulla loro contiguità e cioè sulle regole stesse della successione: «in poesia l’equazione serve a costruire la successione». La linearità (temporale) del discorso si dissolve o si attenua in un’organizzazione che sottomette le leggi della conseguenza, della contiguità a quelle dell’equivalenza, impone continuo richiamo e anticipazioni di quello che è già stato e che deve ancora essere, imbriglia il tempo nello spazio […]” (3). Ho visto la creazione, la gestazione in fieri di un amore attraversato dalla forza immane della poesia, la capacità di svilupparsi in rievocazione e manifestazione artistica, ho assistito al bacio plurimo (bacio-abbraccio) che sceglie il sogno o la forza di vedere l’invisibile, oltre ogni ragionevole limite.
(1) Andrea Bellavista, Kim Ki-duk, Il castoro cinema, Milano 2005, p.8.
(2) Roman Jakobson “Linguistica e poetica” in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 181-218.
(3) Vittorio Coletti, Il linguaggio letterario, Zanichelli, Bologna 1983, pp 30-31.

25 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse è per questo parlare silente degli oggetti che non ho sentito la pesantezza del silenzio?
Bel film, anche se forse non griderei al capolavoro. Sarà che sono abituata ai film orientali e ne ho visti di migliori (mi viene in mente certo Kitano ma soprattutto Mizoguchi Kenji...)

Anonimo ha detto...

Solita magnifica recensione Luciano, per un film splendido, raro esempio di pura poesia trasposta al cinema. Il capolavoro di kim ki-duk e uno dei film più belli degli ultimi anni.
Alessio

Luciano ha detto...

@Alicesu. Può darsi, forse gridavano tanto e infatti il fatto che i due protagonisti tacciano "non si sente" ;)
Secondo me ci vuole del tempo per riuscire a capire se un film è un capolavoro e con il passare degli anni questo accumulo di pellicole riduce le possibilità. Ma Ferro3 ha tutta l'aria di essere sulla strada giusta. Sono d'accordo con te su Kitano (in particolare mi riferisco ad Hana-bi) e Mizoguchi (mi dovrò rivedere il suo inestimabile "I racconti della luna pallida d'agosto" e ti ringrazio per avermi rammentato questo grande regista).

Luciano ha detto...

@Alessio. Ti ringrazio per la tua gentilezza^^ Siamo in sintonia. Anch'io credo che Ferro3 sia il capolavoro di Kim Ki-duk (però non ho ancora visto tutti i suoi film). A presto!

Noodles ha detto...

Il silenzio dei personaggi e la "parola" degli oggetti mi fa pensare anche ad alcune sequenze di Hong Kong Express di Wong Kar-wai. Forse è una metafora tipicamente asiatica.

M.S. ha detto...

l'intervista di kim ki-duk mi sembra chiarificatrice del suo stile per palati decisamente molto fini. Io non ho visto Ferro3 (sono tra i pochi scemi rimasti...), ma dopo aver visto La Samaritana e Primavera estate autunno inverno e ancora primavera, che non mi sono piaciuti, mi sono un po' scoraggiato. tutti però dite che è bello...

Ale55andra ha detto...

Secondo me è vicino ad essere un capolavoro. Immagini che si fanno poesia, silenzi che esprimono mondi interiori, fotogrammi di inusitata bellezza (uno l'hai anche postato). Interessantissime le ipotesi sul peso della bilancia e straordinaria come sempre l'analisi.

Luciano ha detto...

@Noodles.Dovrei rivedere Hong Kong Express. In effetti un certo tipo di silenzio sembra un tipico stilema di questo genere di film. Un'osservazione interessante e uno spunto per ulteriori analisi!

Luciano ha detto...

@Mario. Ferro3 forse è leggermente più bello degli altri due, ma questo non dovrebbe influenzare il tuo giudizio. Il film ti piacerà o non ti piacerà a prescindere dalle altre visioni. D'altronde può capitare che un film di un grande autore non convinca. Capita anche a me. (Comunque sono curioso di leggere una tua recensione del film).

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Come spesso accade siamo d'accordo. Un film che è una poesia o meglio l'atto di formazione di una poesia. Sei sempre gentilissima! A presto.

Christian ha detto...

E' stato forse l'ultimo film di KKD a essermi piaciuto, visto che i successivi li ho detestati (e purtroppo la sua deriva metafisica-festivaliera era già cominciata con il precedente "Primavera, estate..."). Peccato perché le opere degli inizi erano forti, coraggiose, sanguigne (su tutte "Bad guy", "Address unknown, "Birdcage inn"), ma dalla "Samaritana" in poi non salverei quasi più nulla, a parte appunto questo discreto (ma nulla di più) "Ferro 3"...
Insomma, concordo parola per parola con quello che dice Alicesu nel primo commento.

Anonimo ha detto...

Luciano: il film da te citato di Mizoguchi è bellissimo...

Luciano ha detto...

@Christian. Bad Guy è un altro film di ottima qualità (infatti non saprei scegliere tra questo film "atipico" - detto in senso positivo - e altre pellicole tra cui Ferro3, film che mi sembra per ora il suo "punto" più alto). In effetti ogni suo lavoro sembra "diverso" dal precedente e non posso confermare o meno se stiamo assistendo a una deriva "kimmiana". Può darsi. Purtroppo non ho ancora visto tutti i suoi film e in particolare i due da te citati: "Address unknown,e "Birdcage inn". Dovrò provvedere al più presto. Ben tornato^^

@Alicesu. Questo film credo possa essere definito un capolavoro senza correre il rischio di essere smentiti^^

Anonimo ha detto...

Un saluto carissimo Luc!
E' tanto che non mi faccio vedere xké mi sono trasferita sola soletta nella ridente viterbo e ancora nn m'hanno attaccato il telefono (sti stronzi!)
Spero di tornare al più presto anche solo come commentatrice xké nn credo che riuscirò + a scrivere sul mio blogghe!
Buon proseguimeto..
Ps: questo di Ki-duk è uno dei miei film preferiti!
ciaooooooooo
Trinity

Luciano ha detto...

@Trinity. Un piacere immenso risentirti! Così ti sei trasferita a Viterbo. Una bellissima città. Ogni tanto faccio una capatina sul Lago di Bolsena (non lontanissimo da Viterbo). Luoghi bellissimi. Mi spiace per i problemi di connessione. Vedrai che quando ti sarai sistemata e la tua casa sarà a posto potrai anche riprendere a postare. Vero? Mi raccomando non abbandonare il tuo blog^^ Un abbraccio!

P.S. Su questo film la pensiamo allo stesso modo ;)

Anonimo ha detto...

molto bella questa analisi. ferro 3 è un film molto formale (la regia ha un peso essenziale), che in qualche modo sancisce una svolta rispetto alla fase precedente di kim, molto più legata al rapporto immediato tra sguardo dello spettatore e messinscena.
la samaritana, però, ancora mi manca.

Luciano ha detto...

@Dott.Benway. Infatti Ferro3 è un film che mostra il suo stesso procedimento (per lo meno lo mostra più di altri). Per me bellissimo. Ti ringrazio^^

Roberto Junior Fusco ha detto...

Di Kim Ki-duk ho visto solamente Hong Kong Express. Gli altri - e questo in particolare sembra, anche da quello che dici, che valga - li devo ancora recuperare.

Luciano ha detto...

@Roberto. Forse un refuso sul titolo di un film di Wong Kar Wai. Naturalmente ti riferivi ad un altro film di Kim Ki-duk. Sì, in effetti secondo me valgono tutti un visione. Sono convinto che almeno Ferro3 dovrebbe piacerti. A presto ;)

Roberto Junior Fusco ha detto...

Mamma mia come sto! Hong Kong Express è di Wong Kar Wai. Cavolate simili le riesco a scrivere solo io...
Avevo intenzione di riferirmi a Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera.
È stato il commento di Noodles a confondermi. E va be'... sparisco.

Luciano ha detto...

@Roberto. Macché, ci mancherebbe! I refusi sono il sale del linguaggio. Sapessi quanti ne faccio io! Purtroppo ho la capacità di dimenticare i nomi o se li ricordo di non collegarli a un volto o alle imamgini di un film(che invece ricordo). Primavera, estate... è un altro bellisimo film di Kim Ki-duk, una emozionante poesia dello sguardo.

Anonimo ha detto...

Magnifico magnifico post! parlare di un film del genere, di un film fatto di immagini e silenzi, credo sia stato davvero non facile. Ci sei riuscito in modo mirabile. Questo film è senz'altro il mio Kim Ki-Duk preferito insieme a "Primavera, estate...". "Bad guy" devo ancora vederlo e "La samaritana" invece ricordo mi lasciò parecchio interdetto quando lo vidi. Dovrei magari procedere ad una seconda, più "avveduta", visione.

Luciano ha detto...

@Pickpocket. In effetti è un regista molto impegnativo perché i suoi film sono una fonte inesauribile di riflessioni. Ti ringrazio^^ Primavera, estate... è un altro film indimenticabile, una poesia. Secondo me Bad Guy merita di essere visto. Quando lo vidi la prima volta mi piacque, ma poi l'ho un po' dimenticato. Rivedendolo mi sono reso conto di trovarmi davanti a un'opera immensa. La samaritana mi è piaciuto di più, molto di più, dopo la seconda visione. Non so... forse con me i film kimmiani sono come un vino che migliora con l'invecchiamento.

Anonimo ha detto...

"Un'alta lezione di cinema" definì la critica "Primavera estate autunno inverno", il bellissimo film che ha fatto conoscere al grande pubblico il regista coreano Kim Ki-duk. Come non ripetere questa definizione per "Ferro3-La casa vuota"? Opere diversissime tra loro, ambedue impossibili da raccontare nella loro leggerezza e profondità ma da vedere. Trama strana e visionaria, una scommessa fare un film dove il dialogo è quasi assente ma tutto è basato sugli sguardi, sull'atmosfera, sui gesti e senza un attimo di noia. Si è totalmente coinvolti... e tante sono le domande che durante la visione ci poniamo (e non a tutte riusciamo a trovare una risposta): è possibile essere se stessi senza compromessi? la libertà è un'illusione? è così difficile essere compresi? il comunicare con le parole serve a qualcosa? in che tipo di società siamo costretti a vivere? la solitudine è veramente una condanna...?

Luciano ha detto...

@Cinemaleo. In effetti due grandi film che fanno riflettere e due film che sono fatti, come giustamente affermi, per essere visti. Due poesie che vanno "lette" con il cuore.