18 ottobre 2007

In questo mondo libero... (Ken Loach, 2007)

Vedere un film di Ken Loach presuppone un adeguamento alla “sua” prospettiva, in pratica una forte volontà di non lasciarsi condizionare da sentimenti “politici”. Con questo non intendo dire che non si devono avere opinioni politiche su Loach o sui suoi film, oppure che i film di Loach non sono film politici. Tutt’altro. Loach è un autore, lo sappiamo, che non si preoccupa minimamente di raccontare una storia a “modo suo”, ma siccome i suoi film esprimono un naturalismo quasi documentaristico (almeno apparentemente) e vanno a toccare quello che oserei definire “ictus filmico” della storia (ossia pongono l’accento tonico principale sulla brutalità storica o sociale di un’epoca, di una nazione, di una casta, ecc.) è ovvio aspettarsi una reazione (per carità legittima) da coloro che non si riconoscono nelle sue “brutali” critiche al mondo attuale. De gustibus non disputandum est. Ma Loach esprime comunque la sua estetica, il suo modo di “vedere” la realtà, la sua interpretazione. In questo mondo libero non fa eccezione, anzi, mi sembra un’opera più matura di altre proprio perché Loach riesce a collegarsi meglio ad una delle anime di quella che negli anni ottanta venne definita British Renaissance, ossia l’anima erede del Free Cinema dei vari Lindsay Anderson, Karel Reisz, Tony Richardson, lo stesso cinema che si definiva kitchen sink film, un cinema del quotidiano, dei piccoli gesti e delle piccole azioni di un sottoproletariato impegnato a sbarcare il lunario. Questo in verità accadeva nei suoi film degli anni ottanta e novanta (Uno sguardo, un sorriso; Riff Raff; Ladybird Ladybird) ma accade anche In questo mondo libero. Sbarcare il lunario non significa solo amare i figli, lottare contro gli assistenti sociali e la polizia, cercare di difendersi dall’ufficio delle tasse, liberarsi anche in modo aggressivo da un capoufficio che ti mette la mano sul fondo schiena, significa anche lottare contro se stessi, per non fermarsi mai a soccorrere chi sta ancora più in basso. Il film ci mostra uno spazio angusto di una Londra irriconoscibile vista attraverso il suo traffico da periferia, i ghetti di baracche e roulotte abitate dagli immigrati, un clima che diventa esso stesso attante avverso degli infimi; ci mostra uno spazio in cui i bambini si muovono come oggetti persi in un mondo imperscrutabile, una violenza che sta sempre sotto le righe ("gli sguardi cattivi degli inglesi" come li definisce Karol) o che affiora appena alla superficie (un pugno, un rapimento soft, una donna legata e imbavagliata). Uno spazio soffocante, lo stesso in cui viviamo tutti giorni, spazio del quotidiano, ma angusto, anonimo, insomma un altro non-luogo. E in questo non-luogo si svolge il non-dramma di Angie, surrogato di donna in carriera, in realtà stilema estetico, simbolo della debolezza(1) del mondo. Questa “debolezza”, questa discesa negli inferi del referente (tuffo nelle tenebre dell’ambiente che ci circonda), questo armonizzarsi alla musica infernale del mondo non è altro che il tentativo di esorcizzare la morte, almeno per non aspettarla indifesi, di realizzare un sogno a costo di vendersi l’anima (o meglio una non-anima). Ma ciò che mi ha colpito di più nel film è che qui stiamo attraversando un non-luogo immerso in un tempo denso che non scorre e non si dipana in cerca di una soluzione, un tempo che afferra l’attimo per trasportarlo nei gesti e nelle urla di Angie come negli sguardi di Karol o di chi ha lavorato e non viene pagato. Insomma l’energia in questo film non si esaurisce perché Loach, Angry Young Men irriducibile, deve eseguire nel suo laboratorio esperimenti sociologici su cavie inermi e spaventate. Ma tutti questi contenuti che imperversano nel film, supportati dal naturalismo delle riprese, in realtà sono addomesticati da una retorica formale di alta qualità. Vedi ad esempio la sequenza di Angie imbavagliata e legata ad una sedia dagli immigrati. Angie ha paura, si lamenta, la macchina da presa la inquadra in campo medio, si vede il volto, ma la paura ci viene "mostrata" tramite il rumore acusmatico di un leggero scroscio di urina che cola sulla sedia o sul pavimento. Il rumore della paura. Potremmo definirlo una sinestesia visiva? Qui sta la grandezza di Loach.

(1) Gianni Vattimo, Il pensiero debole. Per Vattimo oggi non è più possibile che il pensiero abbia possibilità di affermare qualsiasi verità definitiva, pertanto l'unica verità possibile è che esiste una molteplicità di verità (non esiste una verità assoluta, ma solo una pluralità di verità relative). Il pensiero forte invece si fonda come forma di violenza sulle altre forme di pensiero.

19 commenti:

chimy ha detto...

Bellissima recensione, come sai concordo in pieno. Il personaggio di Angie è scritto magnificamente da Laverty, Loach realizza un'opera (come sottolinei giustamente) molto matura che colpisce a fondo e fa riflettere per lungo tempo. Questo (forse) il suo maggior pregio.
Ciao, a presto

Luciano ha detto...

Grazie Chimy. La tua recensione mi ha aiutato ad orientarmi durante la visione. Era un film assolutamente da non perdere. E infatti ne è valsa la pena. Un Loach in forma, certo, grazie anche ad un personaggio ben costruito da Laverty. A presto.

Anonimo ha detto...

Ecco. Ora mi maledico per averlo perso!

Luciano ha detto...

Dalle mie parti c'è ancora. Forse cercando lo trovi sempre al cinema. Ciao Iggy. Se riesci a vederlo fammi sapere.

Anonimo ha detto...

Molto interessante quest recensione, molto sentita. Ho visto da poco il vento che accarezzava l'erba e non mi ha entusiasmata. Il perché lo ritrovo nelle tue parole iniziali, nella tua giustificazione sullo stile non-stile di Loach. Loach rallenta, si perde nei minimi particolari senza dare spessore ai personaggi, non coinvolge. Questo film mi incuriosiva. Questa è una delle prime recensioni che leggo e temo di averci trovato il motivo per cui il film, nonostante il tema che affronta, potrebbe non piacermi.

Luciano ha detto...

Chissà. Prova a vederlo. Magari immergendoti nelle "piccole" cose quotidiane, tra le pieghe affascinanti e incomprensibili del reale. La ricerca della conoscenza, forse per Loach passa attraverso la sperimentazione sul campo. A lui forse interessano più gli attanti e meno i personaggi; il fato o l'ineluttabile più del percorso di formazione o lo "sviluppo" dell'intreccio; le storie aperte che non portano da nessuna parte, piuttosto di una acquisita nuova consapevolezza. Forse Loach non è uno psicologo ma un naturalista. Un Verga o, meglio ancora, uno Zola piuttosto che un Italo Svevo? E' come se pensassi ad alta voce, eh? Si sta chiacchierando. Questi pensieri non rappresentano una mia tesi. Grazie Lilith. A presto.

domenico ha detto...

concordo con quanto scrivi pur non avendo visto il film :-)
lo recupererò, questa settimana non offre molto altro, e a me loach piace assai
Per me Loach è un Silone hehehe, ma anche questi non sono che pensieri!

Luciano ha detto...

Ma lo sai che non ci avevo pensato? Certo, un Silone! Comunque, specialmente se Loach ti piace, ti consiglio di vedere il film. Grazie. Ciao.

Deneil ha detto...

bella recensione..fa davvero venir voglia di vederlo anche se penso di non essere adatto ai film di loach..ma non si sa mai..chissà che questa rece non mi sproni una volta per tutte a veder qualcosa di suo!

Trinity ha detto...

A questo dedicherò sicuramente un bel dvd...
purtroppo non ho proprio il tempo di vederlo, anche se mi avrebbe fatto piacere!
ciao!!

Luciano ha detto...

@Deneil. Probabilemente, anche solo per curiosità, forse vale la pena di vederne almeno uno. D'altronde non si può vedere tutto e ognuno tende a fare delle scelte, a percorrere strade differenti (salvo poi magari raccontare le proprie esperienze ad altri cinefili incalliti). Grazie Deneil, a presto.

@Trinity. Sì, capita anche a me con altri film. Vedo quello che proiettano alcuni cinema della mia zona. Non tutto arriva purtroppo. Ad esempio, non sono riuscito ad intercettare "Due giorni a Parigi". Grazie per il tuo commento. A presto.

Anonimo ha detto...

Di Loach ho visto solo Il vento che accarezza l'erba e Paul, Mick e gli altri e devo dire che mi sono piaciuti molto entrambi. Apprezzo il suo stile e le sue tematiche. Questo lo vedrò sicuramente.
Ale55andra

Luciano ha detto...

Se ti sono piaciuti i due film che mi hai citato, allora sono sicuro che "In questo mondo libero" ti piacerà. E' un film che fa riflettere ma è anche un tuffo nelle pieghe sottili e angoscianti della "realtà" che tutti noi viviamo quotidianamente. Grazie e a presto.

Edo ha detto...

Io a Loach riconosco dei pregi. Parte da una tesi (che nella maggior parte dei casi condivido) e si immerge nella realtà per trovarne conferma con fare documentaristico. Ed è pure bravo a farlo ma il distacco (necessario,mi rendo conto, ad un certo tipo di Cinema) spesso diventa freddezza. Così guardo il film quasi come se non mi appartenesse.
E la retorica e il manicheismo di Loach quelli no,non li sopporto!
Ma comunque credo sia una questione di gusti,non mi piace Loach ma capisco chi lo ama.

Luciano ha detto...

E' il suo stile quasi come la realtà colta nel suo farsi. Quando assistiamo a un incidente: molti accorrono, qalcuno urla, ma c'è chi guarda l'orologio: ha fretta. Loach indaga questi aspetti. Non c'è redenzione. Non credo dia molte speranze all'umanità. Grazie Edo per il tuo graditissimo commento. A presto.

Anonimo ha detto...

Gran film di Loach. Difficile, attuale, pessimista ma non proprio disperato.
Per quanto riguarda quanto dici su Vattimo (non esiste una verit� assoluta, ma solo una pluralit� di verit� relative) mi viene in mente, anche se non c'azzecca niente, Quarto potere in cui lo stesso episodio � raccontato da cinque personaggi diversi.
Alla prossima!

Luciano ha detto...

@Neville. Quarto potere, sì. A me viene in mente anche Rashomon. Grazie. A presto.

cinemaleo ha detto...

Probabilmente qualcuno non gradirà, ma è un film importante... Ken Loach ritorna a colpire.

Luciano ha detto...

@Cinemaleo. Loache piace a molti quanto è non amato da tanti altri. Per me i suoi film sono tutti pugni allo stomaco e meritano sempre di essere visti.