17 settembre 2007

L'occhio che uccide (Michael Powell, 1960)

Fattore saliente del film, più del voyerismo, è la determinazione del padre-assente di filmare o rappresentare l'inaudito e la paura mettendo ad esempio nel letto del piccolo una lucertola. Il perturbante si raggiunge attraverso la paura del piccolo Mark che sfocerà nell’inconscio delirante del Mark adulto, quando diventato fotografo, osserverà distrattamente le modelle seminude affascinandosi però per una ragazza dal labbro leporino. Ma la sua eccitazione non è formale, nel senso che il corpo non rientra nel suo logos visuale. Non forma ma pensiero. L'ethos di Mark diventa espressione di sdoppiamento, di rinvio, di indugio mentre l'inaudito diviene uno dei nuovi "paradossali paradigmi di riferimento" ("Waldenfels, La responsività del proprio corpo). L'inaudito quindi rappresenta la ricerca del terrore nello sguardo della vittima che è spesso una donna dai capelli rossi (o tinti di rosso). Sesso e colore diventano il supporto, la custodia carnale dell'immagine del terrore riflesso nella lente deformante mostrata alla vittima (uno Squid ante litteram?). L'ossessione filmica diventa ossessione per l'immaginario, una incapacità di vivere la vita reale, o meglio incapacità di decodificarla. In altri termini l'incapacità di vedere il reale, mostrando il reale, è l'atto stesso della menzogna. Il film mente, falsifica tutto. A questo proposito risulta interessante la scena in cui il padre-assente entra in campo, affidando alla moglie la macchina da presa per sistemare il bambino: poiché a questo punto l'immagine si sfuoca, torna indietro rimettendo a fuoco l'immagine. Questo è diegeticamente impossibile, perché siamo noi spettatori a guardare la scena che va fuori fuoco, mentre lui non avrebbe dovuto vederla. Ma il regista (ogni regista) possiede la sensibilità magica, possiede l'onnipotenza del mago per fare quello che riesce a fare. Nel reale non è possibile ma a livello metaforico sì. Powell non era capace di riprodurre uno spazio realisticamente, infatti nel film siamo di fronte a una falsificazione perpetua. Mai un'immagine naturalistica, ma tutto quanto è artefatto: colori incredibili, troppo saturi, personaggi inverosimilmente truccati, filmico ridondante di contrasti eccessivi. Questo ha creato una grande tradizione portata avanti da altri registi iperrealistici (Fassbinder). Nel film c'è un lavoro di finzione (d'altronde il Cinema è fiction o no?): la macchina da presa che viene incontro sembra nascosta nel montgomery mentre le immagini che vediamo nel mirino sono all'altezza degli occhi. Anche le vittime di questo personaggio sono delle finzioni, sono delle rappresentazioni, momenti in cui si forma l’immagine della recitazione. Questa ossessione immaginaria del Cinema, questo bisogno di finzione, è orientato al reperimento della verità che si considera interdetta a quella che è l'esistenza (fotografica). Per Powell la visione è tutto e questa visione che si crea il proprio oggetto non esiste per affermare la finzione dell'immaginario, ma per evidenziare il luogo della finzione che diventa l'unico dentro cui reperire un momento di verità. Nella scena in cui Mark spia l’arrivo della polizia sul luogo del delitto, l’ossessione del vedere riguarda tutto (proprio il contrario del cinema-verità) e il momento della verità viene contraddetto proprio dal fatto che il personaggio cerchi la falsificazione e attraverso questa cerchi la verità. Nella realtà in sé non esiste questa definizione; la realtà deve essere sempre filtrata: incomprensibile, frammentaria, ha bisogno della sua finzione per essere interpretata. La verità in sé esiste solo come non-luogo, non è mai visibile, ma può emergere solo come una serie di artifizi. Proprio per questa impotenza davanti al mondo, Mark non può che cercare l’unico momento di verità assoluta nella morte. Infatti il volto deformato dell’attrice che porta sui di sé i segni della morte è l’unica certezza del momento che non lascia repliche: il volto dell’attrice porta su di sé i segni dell’impossibilità di una finzione. L’atto del rivedere imprigionato il fantasma della paura, impresso in un attimo di verità, rappresenta il bisogno inconfessabile di credere, credere, credere comunque in qualcosa.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

minu kanne + scupade vai a lavura
okkiu ki accide ma de ke aooooo

Luciano ha detto...

L'ideale sarebbe entrambe, no?! Purtroppo a lavura ci sto già.
Grazie per la visita Gabbermafia. Torna pure a trovarmi.
A presto.

Deneil ha detto...

luciano dopo leggo la rece scusami ma se vuoi novità sul mostro della laguna corri al mio sito..ne vale la pena credo..se riesci a leggere la mega rece fino in fondo!

Deneil ha detto...

letta, profonda come al solito, però questo proprio non l' ho visto quindi non so darti un opinione..le tue rece andrebbero lette dopo aver visto la pellicola secondo me..ovviamente è un opinione personale..

FiliÞþØ ha detto...

accidenti se mi hai fatto venire voglia di rivederlo...contentissimo di averti ispirato...se questi sono i risultati, non vedo l'ora di ispirarti di nuovo...^^

Luciano ha detto...

@Deneil. Hai ragione. Le mie recensioni presuppongono che il film sia stato visto. Altrimenti potrebbero risultare un po' criptiche. D'altronde non potrei competere con tanti bravi blogger (tra cui tu) capacissimi di recensioni esaurienti. Le mie invece sono parziali, analizzano solo alcuni aspetti del film.

@Filippo. Mi fa piacere che la mia recensione ti sia piaciuta, ma, come ho detto sopra a Deneil, non è esauriente come la tua. Tu che hai visto il film ti sei reso conto come la recensione si soffermi solo su alcuni aspetti. D'altronde un film è un mondo intero e per conoscerlo tutto a fondo bisognerebbe scriverci un libro (in libreria si trovano infatti libri interamente dedicati a un solo film).
A presto.

FiliÞþØ ha detto...

eh eh...lo so, recentemente ho comprato il volumetto su Viridiana, edito da lindau...

Luciano ha detto...

Che invidia! Sono un fagocitatore di libri. Edizione del 2007? Non sapevo fosse uscito il libro su Viridiana.
Allora prima o poi devi farcelo conoscere scrivendoci qualcosa.

FiliÞþØ ha detto...

No, il libro è vecchiotto (2000)...fa parte delle monografie sui film...ultimamente mi sto molto appassionando a questo straordinario regista...ho anche comprato il bellissimo volume edito da Taschen su Bunuel...
Magari se il libro mi ispira, torno a scriverci qualcosa (Viridiana l'ho già recensito...).

Luciano ha detto...

Ah. Allora mi è sfuggito. Bene. Ti aspetto per una nuova recensione su Bunuel. Una mia carissima amica si è laureata sul film La via lattea. L'hai visto? Ogni suo film è una scoperta.
A presto.

FiliÞþØ ha detto...

l'ho visto giusto ieri...inutile dire che l'ho trovato stupendo...

Luciano ha detto...

Vedo che stai scandagliando tutto Bunuel. Sono sicuro che nessuno dei suoi film ti deluderà. (Riguardo alla tua recensione su Viridiana ho anche "postato" un commento. Che brutti scherzi fa la memoria...)
A presto.

Anonimo ha detto...

questo mi manca e mi incuriosisce non poco...

Luciano ha detto...

Se ti piacciono i film inquietanti (alla Psyco per intenderci) questo va assolutamente visto. Grazie e a presto.