14 settembre 2007

Io non sono qui (Todd Haynes, 2007)

Un impressionante susseguirsi d’immagini e suoni, un flusso di parole in libertà tra le sequenze delle sei storie che s’intersecano allontanandosi o incontrandosi come crocevia di strade che si biforcano cercando proprie direttrici senza mai arrivare in porto. In fondo ciò che conta, quando viaggiamo, non è la destinazione, ma il viaggio stesso. La bellezza di questo film è la sua stessa espressività linguistica, è l’atto stesso del suo formarsi nel lasciare sempre, in ogni immagine, ampi spazi aperti alle emozioni di chi guarda. Il film è anche immagine-tempo globale (possibile?!), è un luogo mentale che sorge nell’attimo stesso in cui scorre. ‘Io non sono qui’ potrebbe essere definito un film in fieri. In effetti sappiamo benissimo che il film accade e ri-accade ogni volta differente nella mente di chi guarda, ma è già accaduto sulla pellicola avvolta nella bobina. Il film non è il teatro, perché è un media e pertanto prodotto finito, confezionato, impacchettato, presto pronto per ritrovarsi masterizzato su un DVD . Ma la sensazione è di una espressività dinamica, ovvero il non detto e il non visto, che ogni film lascia al libero arbitrio dello spettatore, qui richiede uno sforzo maggiore, richiede la capacità non solo di costruire ma anche di de-costruire le varie sequenze. In altri termini: un’ellissi tra due sequenze viene “coperta” dalla mente che si immagina lo spazio vuoto e ricostruisce le parti mancanti, mentre qui si chiede di ri-costruire gli interstizi ma anche di de-costruire la visione. C’è un doppio movimento: riempire gli spazi e svuotare i contenuti delle immagini per montarle ogni volta differenti. È un montaggio per corrispondenze: ossia il ritmo del montaggio si impone come tale, prende il sopravvento sul contenuto: come afferma Wenders bisogna impedire alla storia di “succhiare il sangue delle immagini”. Pertanto il montaggio si stabilisce attraverso ritmi e rime (Vincent Amiel). Con il ritmo (stacco delle inquadrature) il tempo diventa il soggetto del film. Le varie sezioni che s’intersecano creano un ritmo continuo, un fluire omogeneo nella sua stessa eterogeneità; ad un certo punto non ci accorgiamo più dei passaggi dal colore al bianco e nero o della differenza tra immagini nitide e perfette (fotografia) e immagini sgranate e rovinate (reportage): vedi ad esempio la storia di Jude in bianco e nero scandita da primi piani su fondali più o meno naturalistici oppure vedi i colori saturi delle interviste ad Alice nella storia di Jack o le immagini di repertorio danneggiate dal tempo che ci mostrano l’avvento del tempo stesso. Queste differenze creano un surplus di senso, si condensano nell’immaginario entrando in un rapporto estetico diretto con lo spettatore: le immagini mi parlano e io parlo loro e il nostro dialogo (dovrei rivedere il film per rendermene meglio conto) sarà sempre differente ad ogni nuova visione. Emozioni. Gli echi tra inquadrature sono ancora più imponenti perché possono restituire delle rime: sono similitudini, sensazioni che aprono nella memoria esperienze di altri luoghi, di altri eventi, portano dal Dentro al Fuori e poi nuovamente, in un percorso inverso, riportano dal Fuori al Dentro. L’esperienza emotiva scaturita dalle immagini s’innesta con la mia esperienza emotiva, colpisce i segreti più intimi, le mie più estreme pulsioni che il mio superego riusciva a controllare (e che adesso lascia finalmente libere di “schiumare” all’esterno, nella parte conscia) estraendole e portandole nel film in un infinito percorso di andata e ritorno. Nel film vi sono moltissime rime: Jude che si stropiccia continuamente occhi e naso, le interviste a Jude fatte in ogni dove, l’incontro di Jude col poeta beat Allen Ginsberg o Jude e Ginsberg che chiedono a Cristo di scendere dalla croce; queste rime si suturano col percorso sintagmatico dell’incipit quando Woody salta sul vagone merci e nell’epilogo col vecchio Billy che viaggia sullo stesso vagone merci. Sarebbe interessante trovare tutte le corrispondenze, cercare le rime di questa stupenda poesia. D’altronde che il film sia qualcosa di diverso lo vediamo anche nei titoli di testa, quando appaiono per prime le ultime lettere del titolo del film e poi le prime lettere (come nel Bandito delle 11 di Godard), segnalando la decomposizione del corpo cui stiamo per “assistere”. Il film potrebbe anche essere letto come una originalissima storia del cinema e dei suoi movimenti (Godard, le interviste stile Zelig, i Beatles che corrono come nel cinema muto, il documentario costituito da “veri” pezzi televisivi e da parti volutamente riprese con le tecniche del Free Cinema). Potremmo discutere e scrivere a lungo su 'Io non resto qui', proprio perché, leggendolo come una poesia, con i suoi ritmi, le sue rime e la sua polisemia, ognuno consuma la visione rapportandola alla propria esperienza. Il film riesce a metterci in sintonia con l’alterità. Non a caso il poeta simbolista Arthur porta lo stesso nome di Rimbaud il cui desiderio era di diventare l’Altro (“E’ falso dire: Io penso. Si dovrebbe dire: Mi si pensa” Lettera a Georges Izambard del 13 maggio 1871). Per tutto il tempo che ho abitato il film mi sono trovato bene. Abitarlo è stata un’esperienza estetica impressionante: ma è stato troppo poco. Non ho avuto il tempo di conoscere la casa e non vedo l’ora di ritornarci.

18 commenti:

domenico ha detto...

ecco, sono convinto anch'io che le variazioni di stile comunichino
volendo banalizzare, la forma agisce in presa diretta sul contenuto
(ahimè sono stato semplicistico, ciò meriterebbe un approfondimento più vasto)
l'analisi del montaggio mi piace
il ritmo, il movimento (pickpocket, per esempio)
o anche l'assenza (arca russa ^^)
per quello non amo i film "piatti", che non sperimentano a livello di montaggio, mentre il cinema dovrebbe sempre evolversi sempre in questo senso
"I'm not there" è dinamicissimo, sotto questo e altri punti di vista
bè sul film sai come la penso no? he he
vorrei rivederlo anch'io!
sempre puntale, la tua analisi

Luciano ha detto...

Eh sì! In effetti il montaggio è fondamentale. In fondo, a guardare bene, anche i lunghissimi piano-sequenza (ad esempio Professione reporter o lo stesso incipit di Quarto potere) contengono un loro montaggio interno (variazioni di luce, ombreggiature, disposizione delle persone e/o degli oggetti sulla scena, ecc.). Non c'è limite allo sperimentalismo. Ma il Cinema è anche business e purtroppo a volte insegue cliché consumati e che non hanno niente da dire.
Grazie honeyboy. A presto.

Christian ha detto...

Mi dispiace ma a me non è piaciuto, e proprio il montaggio è stato l'elemento che ha fatto perdere al film ogni presa su di me (mi sembrava completamente casuale). Sono addirittura uscito dalla sala mezz'ora prima della fine, cosa che credo di non aver mai fatto prima in vita mia... Mi dispiace, sarà stato un mio problema, ma non c'è proprio sintonia fra me e haynes (anche "Velvet goldmine" non mi era piaciuto)...

Luciano ha detto...

Le tue osservazioni sul montaggio (come anche le mie o quelle di altri blogger) potrebbero essere confrontate in un forum:peccato che sui blog non sia possibile. Sicuramente ai festival avrai avuto modo di confrontarti con altri appassionati. Hai notizie sulle opinioni di altri cinefili sul presente film? Purtroppo in questo periodo riesco a malapena a vedere qualche film al Cinema. Grazie per il tuo apprezzatissimo intervento.

Anonimo ha detto...

Rimango sempre ammaliata dalle tue analisi!
Ale55andra

Diego Altobelli ha detto...

Ciao Luciano,
ho "Il buio nell'anima" (The brave one). Appena puoi te ne consiglio la visione.

Sono curioso di sapere cosa ne penserai.

Deneil ha detto...

ciao luciano, ho visto ora il tuo link e sto girovagando per il tuo bellissimo blog che linkerò a breve!Io non sono qui non ho ancora avuto occasione di vederlo ma lo farò a breve e verrò a dirti cosa ne penso, mi sembri molto esperto come recensore..credo che passerò di qui molto spesso (sempre contento di trovare qualcuno che apprezza il mostro della laguna nera!)

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Non vedo l'ora di poter visitare il tuo blog. Grazie per aver letto la mia recensione.

@Diego. Bentornato. Un film del regista de La moglie del soldato e Intervista col vampiro non andrebbe perso. Spero di poterlo vedere al cinema.

@Deneil. Grazie per la visita. Ti verrò a trovare anch'io. Ho visto una tua recensione su un film di Protazanov che devo assolutamente leggere. A presto.

Anonimo ha detto...

Davvero complimenti per questa lucida analisi! Mi piace la definizione di espressività dinamica e penso ancora che sia un bene che una tantum escano film come questi che ricordano quanto ancora si possa sperimentare col cinema. Probabilmente se questo approccio diventasse maniera, perderebbe tutto il suo valore.

Un saluto

Luciano ha detto...

Sono d'accordo. Quando la forma si logora diventando maniera trascina nella rovina anche il suo messaggio e diventa banale parodia. Ma se un film proponesse un nuovo modo di fare cinema (o almeno tentasse) allora forse potrebbe nascere una nuova "scuola" che potrebbe regalarci una serie di film di qualità, almeno per un po', almeno fino al suo logoro epilogo.
Ti ringrazio iggy per la tua graditissima visita. A presto.

Deneil ha detto...

Ma va conosci quel film di protazanov??Bene sei il primo, io nela mia breve esperienza non avevo ancora incontrato nessuno che lo conoscesse, però tu secondo me sei un po' più grandicello di me quindi non pretendere che io con la mia poca eserienza ne abbia tirato fuori chissà quale rece...

Luciano ha detto...

Al momento non ho ancora letto la tua recensione, ma ho visto il film ad una rassegna di cinema muto sovietico di molti anni fa e sinceramente molte immagini sono svanite o perennemente incastrate in chissà quale angolo della mia memoria. Mi sa che probabilmente sono più grandicello di te (ahimé), ma questo non ha importanza. A presto.

FiliÞþØ ha detto...

ancora non sono riuscito a vederlo...una volta visto tornerò x un commento più serio...
ovviamente sono scontati i complimenti x la bellissima analisi (e come potrebbe essere altrimenti!?!^^)
A presto

Luciano ha detto...

Una cosa è sicura: questo è un film che fa discutere. Da quanto ho potuto notare dai commenti sui blog e anche in sala, credo di potere affermare, col rischio di essere banale,che questo film o si ama o si odia.
Ciao e grazie.

Anonimo ha detto...

SCRIVI MERAVIGLIOSAMENTE!Felice di averti trovato!^^

MrDAVIS

Luciano ha detto...

Il piacere è tutto mio. Mi rammarico soltanto di non aver "visto" prima il tuo interessante blog. A presto.

Anonimo ha detto...

Gran bel post complimenti! Rende bene lo spirito del film. Io non sono qui è un film che fa pensare.Pensa che quando l'ho visto io, la sala già semideserta si è andata ancora di più svuotando nel corso della proiezione. Peggio per quelli lì che se ne sono andati, sia chiaro.
Felice di aver fatto la tua conoscenza.

Neville

Luciano ha detto...

Grazie Neville. Piacere di conoscerti. Quando ho visto il film (ma era un mercoledì sera) eravamo in dodici di cui otto sicuramente annoiati. Una cosa è certa: trattasi di un film che fa e farà discutere. Arriverò presto a visitare il tuo blog, che ho appena intravisto. A prestissimo.