20 settembre 2007

Eyes Wide Shut (Stanley Kubrick, 1999)

Durante la visione la mia mente non si allineava alla narrazione, non c’era contatto, desiderio d’identificazione con il personaggio principale, le immagini scorrevano senza lasciare impronte sulla retina, i colori riempivano lo sguardo senza mostrare le forme degli oggetti; le parole, le frasi scivolavano nelle orecchie ronzando come vaghi disturbi lontani. Forse una interferenza nel corpus kubrickiano? Lo so, Kubrick era già morto e non si sa quanto di lui c'è nel film. Ma ho deciso di andare avanti, ricordando che Kubrick ha sempre lottato contro l’illusione di realtà, contro il coinvolgimento e l’identificazione dello spettatore. Suo motto falsificare il tempo, lo spazio, la recitazione, la violenza. Ho cercato di afferrare la falsificazione, conoscere il gorgo in cui può trascinare un film di Kubrick. Solo un tentativo naturalmente. E mi sono reso conto che potevo annegare senza possibilità di scorgere un lembo di terra in lontananza. Anneghiamo pure allora, se è il prezzo da pagare, oppure dotiamoci di branchie, perché qui si tratta di respirare cinema allo stato puro. Nella casa del Dott. Harford non succede nulla. Alice che si spoglia, sta sopra il cesso, si tira su le mutandine (e ci aspettiamo sesso), parla con il marito. Bill si muove nella casa rimanendo sempre al centro del quadro, mentre nel travelling le pareti, il corridoio, scorrono ai lati, i colori defluiscono. Il movimento è immobile. Nella casa non si va da nessuna parte, non si dialoga, non si fa sesso (si immagina solo di farlo) non si ama né si odia (si immagina) non si mettono le corna (si immagina). Ma si gioca. I personaggi giocano ad identificarsi in qualcosa o qualcuno che non potranno mai diventare. Harford gioca a corteggiare due invitate alla festa, mentre Alice gioca a farsi corteggiare, gioca a fare la prostituta senza esserlo; la figlia di Milich (nel Raimbow Fashion’s) gioca a fare la brava figlia di papà senza riuscirci (viene di fatto scoperta in un amplesso con due uomini). Marion gioca a tradire il fidanzato. Domino gioca a fare la moglie di Harford, ad avere una vita normale. Ci sono codici ovunque: della vita mondana, della strada, regole da seguire per non rimanere fuori dal gruppo. Il codice della vita mondana è molto complesso, bisogna porsi la maschera per nascondere la verità: ad esempio si fa sesso continuamente senza darlo a vedere (dialogo tra Bill e le due donne alla festa di Ziegler o il ballo tra Alice e Sandor Szavost); oppure si compiono reati come fossero buone azioni (la prostituta nuda in overdose nel bagno di Ziegler, il dott. Harford che la cura senza denunciare il fatto). I codici della strada sono apparentemente più semplici. Eppure Harford, che si muove a suo agio nella mondanità, non regge all’impatto della strada (lo scontro con il gruppo di ubriachi lungo il marciapiede, l’incontro con la prostituta Domino, o nel Raimbow Fashion’s con Milich, il noleggiatore di costumi, o con la figlia di Milich che imbarazza il dottore sussurrandogli qualcosa nell’orecchio). Non ne conosce i codici e deve imparare alla svelta: è un percorso dove i tasselli devono combaciare altrimenti la cosa non funziona. Sta imparando, ma purtroppo il sogno (uscire dai segni, dal simbolo per apprezzare la purezza del significante) lo trascina verso il doppio esatto della festa di Ziegler. “Happy Holiday”, sta scritto su di uno striscione lungo il percorso del taxi che lo porta nel castello dell’orgia. Qui i codici sono apparentemente inviolabili, come monadi indistruttibili ed impenetrabili. Solo una parola d’ordine, un ipercodice può permettere l’accesso al castello. Dentro è tutto finalmente chiaro: Bill vede le maschere indossate dagli uomini, vede i riti di iniziazione, il sesso esplicito: non orgia metafora della festa ma festa metafora dell’orgia. Da spettatore non potrebbe resistere con gli occhi chiusi(1) davanti allo spettacolo dell’orgia, né con l’immaginazione interpretare la parte degli attori che fornicano in tutte le posizioni. Si toglie la maschera-benda (“gli tolgono”, ma di fatto la programmazione dei suoi errori è talmente banale da determinare una precisa volontà) e l’esplosione di luce lo ricaccia nel quotidiano (nell’illusione di realtà) dove tutto è minuziosamente codificato. Bill e Alice (che gli rivela di aver sognato la stessa orgia in qualità di praticante-attrice) rientrano violentemente nel verosimile, nell’illusione, nell’immagine-azione che percuote continuamente i nostri sogni costruendo, come un filo che cuce due lembi strappati, sintagmi di immagini e di significato. Ma le suture sono finzioni, sono tagli fatti e ricuciti dai montatori per gli spettatori. “Vedere” in questo caso presuppone tenere le palpebre serrate. Non ha importanza la verosimiglianza ma, anche se spesso siamo tutti più o meno assetati di “coerenza intima”(2) (paragonando immagini di film a sistemi mentali diegeticamente coerenti non potremo mai penetrare nei labirinti pseudomentali di Kubrick), bisogna tener conto dell’effetto di reale(3) (i particolari che prendono il sopravvento scoprendo il meccanismo). Per questo gli occhi non possono che essere chiusi (o tagliati come direbbe Buñuel) perché l’esplosione della luce emanata dallo schermo accecherebbe quelli che invece gli occhi pretendono di tenerli decisamente aperti. È una questione di protezione. Proteggere la visibilità con la cecità, il racconto con l’analogia, la vita con un ipercodice (Fidelio). Proteggere presuppone però un salto di qualità di quel concetto di “sapere” che è alla base del funzionamento stesso di un film. Non il sapere acquisito con l’indagine che porta Harford a ripercorrere quei luoghi in veste di osservatore, già incontrati la sera avanti in veste di sognatore. Il sapere non è una superficie (la pellicola che scorre ad esempio) ma una sorta di débauche(4), un lasciarsi andare all’orgia della vita. Quando Alice alla fine del film risponde alla domanda di Bill (Cosa dobbiamo fare?) con “scopare”, non fa che rimarcare l’avvenuto salto di qualità all’interno del rapporto tutto mentale Harford-Alice, spettatore-mondo, diegetico-iconico: sapere di immaginare di scopare è insomma molto meglio che immaginare di sapere scopare.


(1) “[L’]esperienza del vedere […] è un’esperienza in cui ciò che vediamo è determinato anche e soprattutto da ciò che non vediamo.” S.Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Le Lettere, Firenze, 1994, p. 36.
(2) Galvano della Volpe, Il verosimile filmico, (1952), in Edoardo Bruno, Antologia del pensiero critico, Bulzoni, Roma 1997, p. 180.
(3) R.Barthes, L’effet de réel, « Communications », n. 11, Paris 1968, pp.84 e sgg. Il saggio, tradotto in italiano, si trova in: R.Barthes, Il brusio della lingua, Torino, Einaudi 1988, pp.151-159. Da segnalare un’attenta ed esauriente spiegazione del termine inventato da Barthes in S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Parma, Pratiche Editrice 1990, pp 174-176.
(4) Débauche, ossia dissolutezza. Ho ripreso questo concetto da Honoré de Balzac, La pelle di Zigrino.

28 commenti:

Anonimo ha detto...

Questo film l'ho visto che avevo 15 anni(mi pare almeno che avevo quell'età quando uscì) e non penso di averlo veramente compreso.
Lo riguarderò tenendo presente la tua analisi.
Ciao

Luciano ha detto...

Grazie, questo mi fa piacere. Ma riguardalo anche lasciandoti trasportare dalle tue emozioni.
Ciao

Anonimo ha detto...

Io l'ho visto due o tre volte e ogni volta mi ha dato sempre qualcosa di nuovo. Per me non è affatto uno dei lavori minori di Kubrick, anzi...
Ale55andra

Anonimo ha detto...

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Luciano ha detto...

@ Ale55andra. Verissimo. I film di Kubrick, tra cui a pieno diritto anche questo, hanno la capacità di mostrarsi ogni volta diversi. Sono convinto che se tra qualche giorno rivedessi il film e ne facessi un'altra recensione, ebbene sicuramente quest'ultima sarebbe diversa dalla presente.
A presto.

@crescenet. Grazie. terrò presente.

Anonimo ha detto...

bellissima e profonda recensione. Bravo.
Kubrick finito il film (secondo me lo finì eccome) pare disse alla moglie che considerava questo il suo film migliore.
Anche per me è così ed ad ogni visione se ne scoprono ulteriori strati. Il testamento del millennio e uno dei miei film prediletti.

Luciano ha detto...

Grazie Delirio. E' sempre un piacere dialogare con te. Sì, sicuramente Kubrick riuscì a finirlo (ho avuto solo qualche dubbio all'inizio del film la prima volta che lo vidi). Ancora non lo reputo il migliore, ma... l'ho visto meno volte degli altri, perché ogni volta che lo rivedo cresce in me uno strano indefinibile smarrimento (cioè mi dico: "Ma questo film lo sto vedendo adesso per la prima volta!).

Anonimo ha detto...

io è quello che ho riviso di più. è un film incredibile, profetico oserei dire. (anche per me è un onore e un piacere).

Luciano ha detto...

Allora devo fare come te: vederlo e rivederlo. E' pazzesco! Con Kubrick non si esce mai dal labirinto della visione che ti dà sempre nuove sensazioni. Sembra di stare all'Overlook Hotel!
Grazie e a presto.

Deneil ha detto...

Bell' analisi come al solito, io lo vidi parecchi anni fa non ci capii nulla (ero abb piccolo), poi lo riguardai incazzato di non averlo capito..e non lo ricapii..ci riproverò..fatto sta che per me rimane uno dei più deboli e secondo me non è stato davvero finito da kubrick..non so..il finale mi sa sempre di raffazzonato, ma ti saprò dir meglio alla prossima visione..

Luciano ha detto...

Sì, riguardalo adesso che sicuramente sei molto più attento ed esperto di anni fa, senza, forse, porti il problema se sarai in grado di capirlo o meno. Il film è sempre un Kubrick. Io forse sto a metà strada tra te e Delirio, ma ti assicuro che ogni volta il film mi sorprende in modo diverso. In particolare i luoghi deputati "attraversati" da Bill. Non ti sembrano stranamente "pericolosi", proprio perchè familiari, forse più della sequenza dell'orgia? Per me ad esempio le scene della festa sembrano molto più inquietanti.
Grazie Deneil per il tuo intervento. A presto.

Anonimo ha detto...

Io ho adorato questo film. E non credo che non favorisse l'identificazione dello spettatore. La mia esperienza è stata di sentirmi invischiata: nelle orgie, nelle falsità, nei doppi sensi. Mi sono persa tra le immagini splendide e ho attraversato questo film con stupore.
Comunque, grazie per essere passato da me... così mi hai dato la possibilità di conoscere il tuo bel blog sul cinema!

Luciano ha detto...

@Lilith. E' un grande piacere vederti nel mio blog. Anch'io adoro questo film proprio perché possiede la capacità, ogni volta che lo vedi, di trasformarsi davanti ai tuoi occhi. Solo l'incipit della prima volta che lo vidi mi dette qualche problema, ma poi... nello stesso post scrivo anche della débauche. Concordo con Delirio quando nel suo commento dice che "ad ogni visione se ne scoprono ulteriori strati".
Grazie per il tuo graditissimo commento.
A presto.

domenico ha detto...

bravissimo, come sempre
cosa dire sul film, è forse il kubrick che riguarderesti più volte con la certezza che ti dica cose nuove ad ogni successiva visione
Ci sono vari significati se vogliamo "nascosti", a me colpì molto la ricorrenza del numero 11 , che ho scoperto poi essere un simbolo di magia corrispondente alla lettera K.
E anche il Fidelio di Beethoveen, opera che in qualche modo allude alla prigionia dei semplici, incatenati dai potenti (e in effetti Eyes Wide Shut è il film di kubrick più politico).

Luciano ha detto...

Non avevo notato la ricorrenza del numero 11. Questa tua notizia mi convince ancor più di rivederlo il prima possibile. Come sempre sei un attento cinefilo. Grazie!

FiliÞþØ ha detto...

"Kubrick ha sempre lottato contro l’illusione di realtà, contro il coinvolgimento e l’identificazione dello spettatore"

Questa è una delle cose che più adoro di Kubrick...negli ambienti, nelle inquadrature c'è una tale perfezione che affascina, ma allo stesso tempo allontana...forse dipende dalla sua precedente esperienza nella fotografia...
Non so perchè, ma questa (oltre)realtà mi ha sempre inquietato (ed ho sempre avuto una predilezione per le cose inquietanti).
Adoro questo film, ma personalmete considero Barry Lyndon come il suo apice rappresentativo...in quella pellicola è riuscito a trasformare le scene di guerra degli stupendi balletti, composti, ordinati (e quando si parla del cinema di Kubrick, "ordine" è la prima parola che mi viene in mente).
Ciao

Luciano ha detto...

Sì i balletti e il teatro si trovano spesso nei film di Kubrick. Ti ricordi la sequenza del teatro abbandonato di Arancia meccanica con lo scontro dei Droogs con una banda rivale che sta per violentare una ragazza? Barry Lyndon è il Settecento ed è vero, le battaglie sono danze ordinate: tutto nei suoi film si trova esattamente dove dovrebbe essere
Grazie Filippo e a presto.

Anonimo ha detto...

Analisi a dir poco magistrale la tua, complimenti! Devo ammettere che questo film mi ha sempre dato l'impressione di sfuggirmi (o forse sono io che sono sfuggito al film, ancora non lo so) e temo di non averlo mai afferrato, nè goduto fino in fondo. Mi ha lasciato sempre uno strano senso di "sospensione" addosso. Di certo i miei "kubrick" preferiti sono altri ("Clockwork", "Stranamore" e "2001" su tutti)... ma questa tua recensione ispira con vigore una nuova visione! ciao, alla prossima

Luciano ha detto...

Grazie Pickpocket. Il film in effetti ha la capacità di mostrasi sempre diverso (e questa è la sua forza). Anch'io mi sono proposto di rivederlo. Sono socuro (ma questo si può dire per tutti i film di Kubrick) che rivedendolo avrei/avremmo tante altre cose da dire. A presto.

Anonimo ha detto...

Per me il miglior Kubrick in assoluto e coem dice bene delirio è un film profetico. Sembra quasi che prima di andarsene volesse scagliare l'ennesima pietra contro l'illusione della perfezione della media class: basta una fantasia a far cedere le solidi basi di una forteza coem il matrimonio?! E lo fa con sequenza ipnotiche che ti ammaliano, ti rapiscono e ti fanno perdere la cognizione del tempo, tant'è vero che se decidi di vedere una sequenza finisci con arrivare alla fatidica battuta finale e solo li ti accorgi che due ore se ne sono andate ancora una volta.
La sequenza iniziale al ballo con quel meraviglioso walzer mi fa entrare in orbita tanto quanto il trip visivo di 2001.
E poi la presenza della Kidman da al film quel qualcosa in più ai miei occhi.

MrDAVIS

Luciano ha detto...

Sei riuscito in poche righe ad esprimere sensazioni profonde che provo anch'io nel vedere il film, e come ho già detto nei commenti precedenti non mi resta che ri-vederelo per provare ancora nuove emozioni.
Grazie e a presto.

Anonimo ha detto...

Visto anch'io diverse volte, la chiave di lettura ultima mi si è aperta grazie ad una versione in dvd contenente degli speciali con interviste dei due protagonisti effettuate, mi pare, dopo il loro divorzio. E secondo me il film continua nel reale fino a quel punto di non-ritorno. S. K. ha secondo me realizzato il più grande dei reality, ha vissuto con loro due per quasi un anno, girando le scene intime con lui solo presente, probabilmente (così pare trasparire da alcune dichiarazioni) anche a loro insaputa. Io penso che loro abbiano recitato ben poco, in questa pellicola c'è tantissima realtà e le incerte frustazioni che emergono sono tutte vere, tutte volute dal maestro!

Anonimo ha detto...

...provate ad immaginare T. C. che assiste nell'ombra col Maestro alla scena in cui "sua moglie" sogna l'incontro col marinaio e di li a poco fatto girare come un pazzo per New York...oppure nell'orgia; a me da l'impressione, in quest'ultima scena, quasi di cercare sua moglie, come se lei stesse partecipato realmente anche a tale scena! Ci credo che avvertiamo frustrazione!

Luciano ha detto...

@Anonimo. Le tue sono osservazioni talmente interessanti da poterne ricavare un'analisi particolare. Mi intrigano molto.

"S. K. ha secondo me realizzato il più grande dei reality"

Non ci avevo pensato. Fantastico! Devo rivedere il film adottando la tua osservazione come prospettiva.

Anche a me aveva dato l'impressione di cercare qualcosa, quasi come se desiderasse trovarvi la moglie (che poi ci è stata "ad occhi chiusi", ossia nel sogno).

Grazie per le acute osservazioni ;)

Mauro ha detto...

Eyes wide shut inquadra magistralmente l'essenza del rapporto di coppia, e di ciò che chiamiamo amore senza neanche esserci domandati cosa sia veramente.
Cosa è l'amore? Liberi dal velo di ipocrisia che ottenebra la nostra capacità di vedere le cose per quello che sono ci accorgeremmo che è un sinonimo di sesso, è il sentimento più animale che si possa provare, basato su odori e contatto fisico, che realizza l'istinto di sopravvivenza della bestia "uomo".
Un qualsiasi rapporto di coppia "monogamo" è destinato a fallire (e con fallire non sto dicendo necessariamente finire, ma non essere totalmente soddisfacente) perchè si basa su una concezione dell'amore distorta, lontana dal significato autentico della pulsione amorosa.
E' naturale (termine davvero stuprato, ma in questo caso estremamente calzante) che Nicole, imprigionata nel vincolo sovrastrutturale del matrimonio, senta ad un certo punto, in preda ad un riaffiorare della libido "sopita", la necessità di scopare quanti più uomini possibile.
Perchè l'amore(sesso), che determina ogni azione umana, è incontrollabile, e la sete che genera a livello carnale può essere solo parzialmente soddisfatta in un rapporto "stabile".
Da questo punto di vista, Kubrick ha fatto davvero centro. E l'ultima battuta, messaggio chiaro ed estremamente eloquente, ne è la sintesi. Della serie "scopiamo che ci passa".
Se posso azzardarmi, questo film sarebbe piaciuto molto anche a Sigmund Freud.

P.S.
Il titolo è davvero intraducibile in italiano... suona tipo "Occhi spalanchiusi"... o sbaglio?

Luciano ha detto...

@Mauro. Il tua analisi è interessante e in effetti il sesso domina ampiamente (come la morte). In fondo nel film vi sono le due grandi tematiche della storia umana: sesso e morte. Kubrick ha fatto centro ancora una volta. Grazie per il tuo bellissimo commento.;)

Anonimo ha detto...

Interessante recensione. Da quello ke ho capito uno degli aspetti è il racconto di una civiltà in decadenza, dove l'amore non trova spazio. Nn lo accenna neanche nonostante parli di due persone sposate, con una figlia, una famiglia insomma! Ciò ke domina la scena è la bellezza come pura immagine, senza considerare nessun tipo di sentimento, fredda. L'apoteosi dell'imagologia! Le sensazioni dei personaggi viaggiano solo sulle immagini di carne "morta", triste, senza possibilità di realizzare alcunchè. Ed è davvero interessante l'accostamento con i riti para-massonici. Difatti il loro culto dell'uomo come goditore dei propri sensi, centro dell'universo, unico fautore delle proprie opere, spinge quest'ordine lontano dall'amore universale, da Dio, fino ad arrivare agli antipodi. Ed è qui ke si svolgono i fatti, in una civiltà in decadenza, ormai troppo, troppo vicina alla nostra. Dove il sesso è solo strumento di noia, possesso, depravazione, trasgressione

Luciano ha detto...

@Markus. La tua è una lettura (ovviamente e giustamente differente dalla mia) che merita di essere presa in considerazione. Un contributo che mi fa un gran piacere. Grazie^^