10 luglio 2007

Mulholland Drive (David Lynch, 2001)

Mulholland Drive è la creazione di un decoupage e dei dubbi dello sceneggiatore, delle esitazioni del regista e delle pressioni della “mafia” hollywoodiana. È come vedere la sintesi di mille puntate di una telenovela, spezzoni di situazioni montate in infinite combinazioni: l’entusiasmo di una ragazza che giunge a Hollywood sperando di avere successo, l’amore lesbico di due attricette, il regista impegnato (con tanto di occhialini alla Godard) costretto ai compromessi dello star system, l’incidente stradale, gli omicidi di un killer, l’horror, la perdita della memoria, l’indagine, ecc. Le situazioni e le immagini sono quelle che vediamo tutti i giorni nei serial televisivi: poliziotti e sirene, le ville di Sunshine boulevard, una panoramica notturna su Los Angeles, la scritta “Hollywood” sulle colline. Ma se fosse tutto qui (come pensano non pochi critici), il film sarebbe senz’altro poca cosa, sarebbe appunto il solito “film sul film”, sarebbe la presa di coscienza del regista del fatto che oggi non c’è più niente da dire. Ma non è solo questo. Credo che Lynch, con Mulholland Drive, sia andato oltre lo studio, l’analisi, la descrizione e la costruzione di un film. Qui il messaggio non è di critica, di protesta o di ineluttabile crisi autoriale, ma è la certezza, il desiderio, la consapevolezza che l’artificio, la finzione abbiano ormai inondato la realtà, che il potere sia totalmente in mano allo spettatore. La labilità delle immagini e le loro pseudo-verità inducono i più a trasportare residui, spezzoni di situazioni “viste” al cinema, nella propria vita quotidiana, a trasportare i sogni nel reale (vedi il terrore del cliente del bar e il suo voler ricostruire nel “reale” una situazione onirica). All’inizio il cinema funziona, la storia si evolve nella ricerca dell’identità di Diana aiutata dalla biondina Betty, appena arrivata a Hollywood in cerca di successo. Chi è Diana, perché hanno tentato di ucciderla? L’indagine scorre (e intanto nasce l’amore tra le due) fino alla scoperta di un cadavere e fino all’incubo della chiave e del cubo che trasportano la storia nella sua assenza. Ma, a guardare bene, le immagini “straviste” sembrano quegli oggetti della vita quotidiana che non osserviamo mai, fin quando un giorno per caso, osservandoli, ci accorgiamo della loro mostruosità, della loro imprecisabile ovvietà. Lo “stravisto” non s’incunea nella storiella di Diane e Betty (loro metamorfosi in Camilla e Diane con transfert di personalità per cui Diane non è mai stata Diane ma è Betty la “vera” Diane), ma si attualizza nella chiave e nel cubo, simboli appunto dell’atto stesso del vedere. Aprendo quel cubo, Betty-Diane entrerà nella dimensione dell’ovvio (cioè Hollywood, star system, feste, registi, amori, tradimenti, suicidi), luogo in cui si smarrisce il senso dello scontro ineluttabile tra cinema e spettacolo (scrittura, teatro, vita). Già la prima avvisaglia della perdita si ha nel teatro dove le due amanti assistono impotenti allo svolgersi degli eventi (in un romanzo direi: “al dipanarsi dell’intreccio”), perché mentre nel teatro (che è altra forma di finzione) la rappresentazione non è mai prevedibile (anche se il presentatore non fa che ripetere che è tutto registrato, la cantante che canta in play-back si accascia a terra improvvisamente; ma era previsto o la sera dopo non accadrà?), nel cinema è tutto identico, già finito ancora prima di essere visto. La visione allora rimane isolata, impotente, univocamente collocata dentro lo sguardo dello spettatore, lo stesso seduto in un palco che osserva a distanza la rappresentazione dicendo alla fine: “Silenzio!”.
Il silenzio delle immagini diventa quindi quello che solo lo spettatore può ricostruire (o decostruire se preferisce) diventa la possibilità del testo di essere qualcos’altro. Questo percorso ermeneutico, ripreso bene dal titolo della 50a Biennale di Venezia (la dittatura dello spettatore) è quello che Lynch, da grande autore qual è, ha perfettamente individuato nel suo film: le infinite possibilità del testo, che si trasforma (o meglio ancora si deforma) attraverso e/o tramite la mente dello spettatore evoluto, non passivo ectoplasma che assorbe e sogna le ombre proiettate sullo schermo bianco, ma creatore-dio, assemblatore delle immagini in sé. All’autore/regista non rimane che allontanarsi nel suicidio reiterato, fuggendo dall’abbraccio della diegesi e della narratività che ingannano con uno sterile appagamento, dall’abbraccio di ilari gnomi/spettatori incapaci di progredire, vaghi distanti relitti che impediscono al testo di ridefinirsi ogni volta differente. Il senso apparente, ottuso, deve quindi svanire, eclissarsi, per lasciare emergere l’atto stesso del vedere. Roland Barthes in un suo famoso saggio descrive bene questa “evaporazione del senso” (La morte dell’Autore, 1967 – e anche se qui si tratta di scrittura, la citazione può essere riferita all’immagine): “Una volta allontanato l’Autore, la pretesa di “decifrare” un testo diventa del tutto inutile. […] Nella scrittura molteplice […] tutto è da districare, ma nulla è da decifrare; […] la scrittura esprime costantemente un certo senso, ma sempre in vista della sua evaporazione: essa procede sistematicamente a una sorta di “esonero” del senso.”
Siamo noi spettatori quindi che costruiamo e diamo vita all’episodio, alla “storia” di Diane-Betty e quello che abbiamo visto e dobbiamo ancora vedere (il suicidio è già avvenuto, il cadavere sul letto, visto da Betty e Diane è per ora solo un morituro) si completa nella nostra mente. L’Autore, alter ego del Lynch regista di successo, in Mulholland Drive, è già morto. Stasera assisteremo alla nascita dello spettatore.

26 commenti:

Anonimo ha detto...

uno dei miei lynch preferiti!
anche io ho un blog sul cinema, casomai ti capitasse di passare
buona serata
dome

Luciano ha detto...

Caro Dome, ti ringrazio per avermi letto. Ho visto il tuo blog e provvedo subito a linkarlo.
A presto

Luciano

Gino ha detto...

Mulholland Dr. è a mio avviso se non il capolavoro degli ultimi 10 anni sicuramente uno dei migliori.
Complimenti per il tuo post!!

Luciano ha detto...

@Gino. Grazie, sei molto gentile^^ Questo tuo commento mi è molto gradito anche perché il post su Mulholland Dr. rappresenta molto per me, infatti è stato il primo lavoro che ho pubblicato su cinemasema e all'epoca ricordo che iniziai quasi per gioco senza rendermi conto dell'importanza che può acquisire un blog (ovviamente solo per il curatore). A presto.

Gino ha detto...

Grazie mille per la risposta! ^^
Come primo lavoro è scritto molto bene, tra poco mi cimenterò nella lettura della tua analisi di INLAND EMPIRE, visto che mi interessa molto. Quale dei due hai preferito? Io sono ancora indeciso.

Luciano ha detto...

@Gino. Ci mancherebbe^^ Cerco di rispondere a tutti e sapessi... una volta mi accorsi dopo mesi di non avere risposto per distrazione a due commenti e ci vollero giorni prima che me ne facessi una ragione. Mi spiace ancora per i due visitatori (occasionali e che non ho più avuto il piacere di ospitare). Molto difficile per me capire quale dei due sia il migliore. Posso dirti che Mulholland mi ha emozionato di più ma non credo sia sufficiente per farmi ammettere che sia il migliore. INLAND forse è più maturo, o meglio, sembra che Lynch stia seguendo un suo percorso e INLAND sia un gradino più avanti, ma senza Mulholland forse non avrebbe potuto girare INLAND. In fondo INLAND ha bisogno del suo Mulholland.

Gino ha detto...

Molto interessante come idea, posso dirti che per me è più o meno lo stesso.
Mulholland Dr. rappresenta a mio avviso una svolta "emotiva" da una parte e metacinematografica dall'altra rispetto a Strade Perdute, di cui è in un certo senso debitore per quanto concerne la struttura narrativa, meno circolare, ma più enunciazionale, a partire dal fatto che la proiezione "illusoria"(onirica, se vogliamo)è invertita di senso, anche perché in una struttura a nastro di Moebius non v'è inizio o fine, ma nel caso di MD si può ugualmente discorrere circa la sua maggiore impostazione emotiva e catartica rispetto a LH.
INLAND EMPIRE, che piaccia o meno, è un caso unico nella storia del cinema, anche in quello onirico di Lynch, che ha fatto della destrutturazione il percorso finale della sua carriera(gli ultimi tre film sono però segnati da una pausa di raccoglimento, puramente emotiva, quasi un raccoglimento pre-paratorio alla successiva profondità emotiva di MD dove LH, che trova appunto in "Una storia vera" opera completa e di passaggio al tempo stesso), preannunciato già ai tempi di Eraserhead.
Io credo sia molto difficile parlare di IE in termini di coinvolgimento emotivo proprio per quello che sottolineavi tu in uno dei tuoi ottimi post che ho già intravisto(Io non sono Laura Dern), dove sottolineavi - se non erro - come lo spiazzamento di IE è ulteriormente segnato dalal frammentazione dell'io, rendendo impossibile il processo di identificazione spettatoriale, che pure è chiamato in causa dalla vicenda della Lost Girl che guarda il televisore e ricostruisce(?)la propria vita, in maniera però catartica rispetto ai protagonisti di MD e LH.
Il punto è che IE, oltre a (non) chiamare in causa lo spettatore, cioè ad evocarlo ed invitarlo quasi a "prostituirsi", a progettare la trama(qui non si tratta di ricostruire banalmente il puzzle come in Tarantino, tanto per fare un esempio), ne prevede anche la frammentazione, siglata dall'impossibilità di una identificazione.
Prima del finale(catartico?)in cui potersi ritrovare e celebrare la potenza del cinema.
Il dubbio che mi resta con IE è che noi tutti lo possiamo sovrainterpretare rispetto alle intenzioni di Lynch, ma a questo punto verrebbe da chiedermi(e da chiederti... ma come direbbe CB "in teologia si danno solo le domande, non le risposte"... io elimino la modalità restrittiva della teologia per farne un quadro più generico): davvero conta?
Un'opera d'arte non esiste in quanto tale, in quanto posta? Ha davvero senso chiedersi quanto sia corretto interrogarsi circa il vero significato di un film(o di un'opera d'arte)o circa gli intenti dell'autore?
Che ne pensi?

Gino ha detto...

Molto interessante come idea, posso dirti che per me è più o meno lo stesso.
Mulholland Dr. rappresenta a mio avviso una svolta "emotiva" da una parte e metacinematografica dall'altra rispetto a Strade Perdute, di cui è in un certo senso debitore per quanto concerne la struttura narrativa, meno circolare, ma più enunciazionale, a partire dal fatto che la proiezione "illusoria"(onirica, se vogliamo)è invertita di senso, anche perché in una struttura a nastro di Moebius non v'è inizio o fine, ma nel caso di MD si può ugualmente discorrere circa la sua maggiore impostazione emotiva e catartica rispetto a LH.
INLAND EMPIRE, che piaccia o meno, è un caso unico nella storia del cinema, anche in quello onirico di Lynch, che ha fatto della destrutturazione il percorso finale della sua carriera(gli ultimi tre film sono però segnati da una pausa di raccoglimento, puramente emotiva, quasi un raccoglimento pre-paratorio alla successiva profondità emotiva di MD dove LH, che trova appunto in "Una storia vera" opera completa e di passaggio al tempo stesso), preannunciato già ai tempi di Eraserhead.
Io credo sia molto difficile parlare di IE in termini di coinvolgimento emotivo proprio per quello che sottolineavi tu in uno dei tuoi ottimi post che ho già intravisto(Io non sono Laura Dern), dove sottolineavi - se non erro - come lo spiazzamento di IE è ulteriormente segnato dalal frammentazione dell'io, rendendo impossibile il processo di identificazione spettatoriale, che pure è chiamato in causa dalla vicenda della Lost Girl che guarda il televisore e ricostruisce(?)la propria vita, in maniera però catartica rispetto ai protagonisti di MD e LH.
Il punto è che IE, oltre a (non) chiamare in causa lo spettatore, cioè ad evocarlo ed invitarlo quasi a "prostituirsi", a progettare la trama(qui non si tratta di ricostruire banalmente il puzzle come in Tarantino, tanto per fare un esempio), ne prevede anche la frammentazione, siglata dall'impossibilità di una identificazione.
Prima del finale(catartico?)in cui potersi ritrovare e celebrare la potenza del cinema.
Il dubbio che mi resta con IE è che noi tutti lo possiamo sovrainterpretare rispetto alle intenzioni di Lynch, ma a questo punto verrebbe da chiedermi(e da chiederti... ma come direbbe CB "in teologia si danno solo le domande, non le risposte"... io elimino la modalità restrittiva della teologia per farne un quadro più generico): davvero conta?
Un'opera d'arte non esiste in quanto tale, in quanto posta? Ha davvero senso chiedersi quanto sia corretto interrogarsi circa il vero significato di un film(o di un'opera d'arte)o circa gli intenti dell'autore?
Che ne pensi?

Luciano ha detto...

@Gino. Intervento molto interessante. Su INLAND si potrebbe parlare all'infinito ma ciò che importa è appunto "entrare in sintonia" con l'opera d'arte, abitarla, non solo "capirla" (nel senso non di scoprire cosa "vuol dire l'autore", ma cosa ispira e nasconde sotto il suo velo apparente narrativo o evocativo), assaporare il gusto dell'iconico trasmesso e/o supportato dal materiale, ma anche in fondo ricondurre tutto alla narrazione per farsi un'idea del rapporto dell'opera con il mondo e come si presenta al mondo, appunto (e mi piace la tua idea) per progettare un mondo. La sovra interpretazione è possibile e potrebbe anche far sorridere l'autore, ma bisogna tenere conto della "voluta" polisemia del testo artistico e pertanto del bisogno di espandere il senso in ogni direzione. L'opera d'arte non è uno slang da conoscere e da imparare ma un mondo complesso che presenta sempre un lato oscuro e opaco perché la conoscenza in fondo provoca un insondabile senso di vertigini dovute all'assenza di riferimenti: un percorso che non restituisce certezza ma sempre maggiori dubbi e nuovi percorsi.

Gino ha detto...

Concordo pienamente con quanto hai detto.
Io credo che in fondo l'arte non debba dare risposte e nemmeno necessariamente farsi specchio della realtà(di quale realtà poi? E in quale modo sarebbe possibile realmente - e perdona il mio bisticcio linguistico - uscire dalla realtà sconfinando nell'irreale, o anche trascendere la percettività, che ugualmente assoggetta ogni esperienza conoscitiva - e artistica, come INLAND EMPIRE - alla sua lente deformativa?).
In fondo la bontà di un'opera d'arte la si può valutare forse non tanto alla base di quel che l'autore vuole dire, ma di quanto quell'opera riesca a penetrarci, senza però attraversarci - come fossimo inconsistenti - ma deve piuttosto restarci dentro.
Che INLAND possa dare o meno questa sensazione resta certo una problematica arbitraria nel momento in cui si vuole dare oggettività al proprio giudizio, si può soltanto restare nella soggettività nel caso di INLAND, a mio avviso.
Io sono molto scisso su INLAND(proprio perché, a differenza di MD, manca - probabilmente almeno questa sarà una precisa scelta di Lynch - un coinvolgimento emotivo diretto con l'opera, derivante cioè da un contatto quasi "fisico" con le vicende dei personaggi che vivono il loro dramma): non ho ancora capito se si tratta del capolavoro di Lynch(e, per esteso, del capolavoro degli ultimi 10 anni, forse)o al contrario di un film pretenzioso e "privo di senso"(come in molti, banalizzando certi concetti, dicono).
Io credo che in questo caso la verità stia nel mezzo, nonostante la grandezza(e la rovina!)di film del genere sia proprio nel loro generare forti emozioni nello spettatore: amore o odio.
Mi spiego meglio: al di là di soggettivi giudizi sul valore(estetico, tecnico, narrativo, tematico, ecc...)del film, l'errore che molti hanno commesso - e da quel poco che ho letto dei tuoi post non mi sembra affatto il tuo caso - è stato quello di cedere all'irrazionalità dell'opera o viceversa all'iper-narratività del film estremizzando l'uno o l'altro aspetto nella disamina di INLAND, forse fuorviati anche dalle precedenti esperienze con altri film di Lynch che, seppur in modo molto meno estremo, presentano delle affinità strutturali(e destrutturanti)con quest'ultimo.
Il fatto che INLAND EMPIRE si ponga come un'opera VOLUTAMENTE polisemica.
Si potrebbe argomentare che ogni film sia soggetto ad interpretazioni di vario genere, ma nel caso di IE lo spettatore - quello armato di buona volontà, di passione e di molta pazienza - adopera dall'inizio alla fine una esplicitamente voluta dall'autore operazione di significazione, per quanto Lynch stesso possa magari affermare - tutto sommato in maniera nemmeno così originale - che "se la realtà non ha un senso, neanche i film dovrebbero averne uno".
Dunque la questione della polisemia non deve necessariamente portare ad apprezzare acriticamente ogni film - come molti detrattori dell'ultimo Lynch hanno argomentato contro gli estimatori di IE -, ma deve piuttosto configuare l'operazione di significazione non come operazione auto-referenziale da parte del regista(o, per esteso, dell'autore o dell'artista in senso lato), ma come un riaffiorare della coscienza "autoriale" dello spettatore a seguito dell'eclissi dell'autore, derivata dalla "messa in circolo"(mi riferisco più o meno esplicitamente al circolo ermeneutico heideggeriano)dell'opera d'arte in quanto esistene, in quanto data.
Probabilmente Lynch non ha voluto dire nulla con IE, altrettanto probabilmente aveva almeno lo scheletro di una struttura narrativa in mente per il suo film(IE è leggibile secondo diverse prospettive, non è di per sé privo di storia o di narrazione... anzi, si può affermare che IE, al contrario di alcuni film appartenente all'inizio del movimento surrealista, è un film che esplora nuovi tipi di narrazione e non si pone come "anti-narrativo"!).

Gino ha detto...

Il mio punto di domanda, ciò che mi rende instabile nel mio giudizio su IE(capolavoro o ciofecha? O forse una via di mezzo?)è se ci sia una "giustificazione poetica" al film, ma torniamo a questo punto ad interrogarci sul concetto di arte, complicando ulteriormente le cose. Dopotutto non è detto che un'artista debba necessariamente comunicare una sua idea(e il film, con la sua struttura narrativa, che è di per sé significante o quanto meno significabile, perché narra il procedimento di narrazione!), ammesso che ne sia in grado!
E' difficile trovare molte persone concordi, ad esempio, sul messaggio ultimo di Kubrick con "2001", per quanto il film sia e nessun critico serio(quasi nessuno)prenderebbe in considerazione l'ipotesi che non sia un capolavoro assoluto.
Uso questo esempio parecchio estremo e forse fuorviante: nel caso di "2001", si può benissimo valutare l'importanza del film anche soltanto a livello storico, senza poi parlare del fatto che a livello estetico e di perfezione stilistica stiamo parlando di una pietra miliare. Certamente le tematiche di base di "2001"(che ci sono, al contrario di quanto alcuni detrattori del film affermano) sono facilmente riconoscibili, così come il finale sembra, almeno in un certo senso, ottimista per la specie umana, così come la struttura narrativa del film, però nel momento in cui ci si interroga sulle reali posizioni di Kubrick diventa difficile ottenere una visione unitaria sul film ed è probabilmente questa polisemia(che non significa assenza di senso, ma al contario debordanza di significato, derivato parzialmente dalla quasi totale assenza di dialoghi)a renderlo il capolavoro che tutti giustamente acclamano.
Nel caso di IE la polisemia è elevata al quadrato, perché coinvolge pienamente anche la struttura narrativa, senza mai però sfociare nell'assenza di senso.
Naturalmente a livello qualitativo il discorso non si può fare(almeno "oggettivamente"): 2001 è un capolavoro assoluto, IE è un film discutibile, che può essere o meno un capolavoro, a seconda.
2001 è IL CINEMA, IE è(per volere o meno di Lynch poco importa)un film che nel suo piccolo/grande sperimenta nuove vie, nuovi modi di fare cinema ed è a modo suo, che piaccia o meno, un film rivoluzionario, tra i più imprescindibili degli ultimi anni.
Il discorso era mirato piuttosto a dire, forse forzatamente, che la grandezza di un'opera d'arte non si ha solo nel suo esporre con chiarezza le idee di un regista(anche perché non vi è il solo regista a lavorare su un film!), ma anche nel suo porsi come materiale significante su cui poterci lavorare.
Ogni film in teoria ha questa potenzialità, ma nel caso dei film di Lynch, ed in particolar modo di INLAND EMPIRE, il discorso viene massimizzato e diviene questo il perno del film, lo scopo... se vogliamo, la poetica del film.
Che poi Lynch possa essere un genio o semplicemente una mente fantasiosa(io sono più propenso per questa seconda ipotesi, pur non negando la grandezza artistica di Lynch, sia chiaro), non dovrebbe inficiare più di tanto sul giudizio di un'opera.
Cosa avrebbe cambiato se Lynch, interrogato circa il "significato" del film, avrebbe risposto che è "la messa in scena della frantumazione dell'io dell'uomo contemporaneo"(ne ho sparata una a caso, ma nemmeno poi tanto)?

Gino ha detto...

Questo non autorizza certo ad interpretare anche "Benvenuti al Sud", per dire, ma il film di per sé è una messa in opera di qualcosa di già esistente di già sperimentato, è un processo di assemblaggio(e di dis-assemblaggio, più o meno intelligente non importa, nel caso di IE).
Voler cercare molto banalmente un messaggio univoco ad un'opera d'arte ne ridurrebbe le capacità espressive e finirebbe con l'imborghesimento(perdona il termine un po' strano)dell'arte stessa, come già Kubrick usava dire a modo suo.
Sulla bontà di un film io resto convinto che è esattamente come dici tu. Finché si è grado di entrare nella poetica di un film, di immedesimarsi nella bellezza di un film, allora il film resta valido, al di là di ciò che vuole dire.
Che poi l'immedesimazione nel caso di INLAND EMPIRE sia differente dagli altri film, beh, questo può essere o meno un pregio dei film di Lynch. Stabilire che sia un capolavoro o meno non è così importante, dopotutto.
Scusami per i post lunghi e noiosi, però credo che data l'importanza dell'argomento era necessario questo mio chiarimento di posizione. Spero di non essere stato troppo dispersivo, come purtroppo temo d'essere stato.

Luciano ha detto...

@Gino. I tuoi post non sono affatto noiosi, anzi molto interessanti e stimolanti. I tuoi dubbi sono anche i miei. Su IE ho scritto sei post e so benissimo di non avere esaurito l'argomento. Se ne potrebbero scrivere mille e ogni volta mancherebbe sempre qualcosa. Secondo me Lynch ha imboccato un percorso (questa è una mia valutazione opinabile) e neppure lui sa o può sapere dove conduca e probabilmente non è neppure interessato al traguardo ma a conoscere ogni aspetto del percorso stesso: gustarsi il viaggio in sé, conoscere il momento in cui decide di prendere una strada anziché un'altra (o viceversa) quando le vie si biforcano. Non sapere perché prendere questa anziché quella via, ma cercare di conoscere l'incrocio in sé o, meglio, se alla partenza avesse potuto immaginare una situazione simile cercando di guardarsi come a distanza o da vicino alla tv o al cinema oppure non servendosi di questi media. Forse il mio discorso può sembrare un po' folle, ma Lynch ci riserverà altre sorprese. IE non è (come saperlo?) un capolavoro. Ho azzardato un po' nel voler concludere la mia disamina con un post sull' Ulisse di Joyce, non per fare paragoni (forse) ma perché IE ha qualcosa dell'Ulisse, almeno nell'andamento narrativo (in fondo Joyce era appassionato di cinema e forse stava girando il suo IE). Chissà. Su 2001 nessun dubbio: capolavoro e pietra miliare del cinema e non solo.

Gino ha detto...

Prima del mio "blocco critico" che mi impedisce di esaminare con piena lucidità film come "2001" scrissi moltissimo su questo "film"(è un film che eccede se stesso), poi il pc l'ho formattato e ho perso tutto. Tanto meglio. Avevo scritto solo un mucchio di frottole. E' un film che, in fondo, non necessita molti commenti(o necessita fin troppi commenti, al contrario). Quando lo vidi per la prima volta, un paio di anni fa(dovevo avere 16 anni), di cinema non conoscevo proprio nulla e rimasi solo entusiasta dalla visione di quel film.
E' dalla visione di 2001 che ho iniziato ad appassionarmi al cinema e ancora oggi lo ritengo uno dei 4-5 film capitali, e mi sono ritrovato spesso ad avere diatribe con i detrattori del film(il più delle volte inconcludenti).
Io su INLAND EMPIRE ho letto moltissimo(anche alcuni tuoi interessantissimi post, il 1°, il 5° e il 6°), più alcuni saggi(ho quello di Bertetto con l'intervento di Bellavita che citi, ne ho uno di Davide Morello e quello più interessante che è di P.B. Fossali).
Premesso che il saggio di Fossali è molto interessante, devo però dire di averlo trovato molto complicato, perché si semiotica ci capisco poco o nulla e ho avuto molte difficoltà.
Però, nonostante tutto, ho trovato alcune idee di Fossali molto interessanti(come evidenzi nei tuoi post)e l'idea di mondi incastonati mi è sembrata molto affascinante.
Ho letto anche approcci molto più semplicistici - ma non meno interessanti - ad IE, come quello di Bordoni e Modini su Cineforum, che riconducono la logica di IE ad una sorta di "seduta psicanalitica junghiana" da parte della Lost Girl(come anche Bellavita citava nel saggio, intento però ad imboccare altre strade, e cioè quella dell'arborescenza)che, attraverso la neve sullo schermo, reinventa le proprie vicende, alla maniera di quanto avveniva ai protagonisti di LH e di MH, ma con esiti differenti(per rispondere a Bellavita).

Gino ha detto...

In LH la logica(parliamo seguendo l'interpretazione più accreditata sia in questo caso che in quello di MD) era quella di una pura fuga psicogena di un folle uxoricida, iniziata forse nel momento in cui sta per essere giustiziato, e destinata quasi a ripetersi ciclicamente, ma con esiti devastanti e controproducenti("non mi avrai mai", recita la sua donna).
In MD è invece attraverso il sogno che la protagonista riesce a reinventare la propria tormentata esistenza e a ripare i propri errori. Ma le illusioni, i sogni, sono destinati a finire(la base è la stessa del capolavoro di "C'era una volta in America" di S.Leone, ma con esiti esattamente opposti... laddove nel capolavoro di Leone il sogno, l'illusione erano destinati a perpetuarsi e consentiva al protagonista di sorridere della propria esistenza - e quindi al regista stesso -; in MD l'esito è devastante)e si è destinati ad essere divorati dai mostri del proprio inconscio, dai sensi di colpa. Non c'è spazio per un esito positivo, dunque.
Tutti i bei sogni finiscono(bellissima la scena del Club Silencio)e si è desintati ad essere rigettati heideggerianamente nel mondo, con violenza, e non c'è più possibilità di rimediare ai propri errori e di sanare i propri fallimenti.
In IE la logica sarebbe forse opposta a quella dei precedenti 2 capitoli della saga Lynchiana.
La realtà può essere ricostruita e c'è spazio per una riconciliazione con se stessi, uccisi i propri mostri, il proprio ego(la scena del fantasma che viene ucciso per me è spettacolare, come lo è tutto il finale, dall'accoltellamento di Laura Dern in po).
Questa è soltanto una delle tante interpretazioni, però!
Se altre spiegazioni al tessuto narrativo di LH e di MD erano contemplabili, nel caso di IE vi è una frantumazione totale del soggetto e dell'oggetto filmico, che non ne preclude certo la ricomposizione, ma anzi esorta lo spettatore ad effettuare una propria ricomposizione ideale, a ricostruire il puzzle.

Gino ha detto...

Ma non si tratta solo di ricostruire il puzzle(non è la settimana enigmistica), come magari in "Pulp Fiction" di Tarantino(dove comunque tutto coincideva, si trattava solo di mescolare più storie e di scardinarne l'impianto cronologico, niente di complesso o cervellotico), ma di gettarsi all'interno del film, di dis-ancorarsi nell'impossibilità di una identificazione, agognata dallo spettatore e rifiutata dalla diegesi narrativa(fino al riconciliante finale, quello con Sinnerman, intendo), come tu benissimo evidenziavi nel post "io (non) sono Laura Dern".
Perdersi nei mondi Lynchiani per poi ritrovarsi non costituisce però una esortazione a non interpretare il film, anzi!
E' a mio avviso rendere massimamente partecipe a livello emotivo ed intellettivo lo spettatore e la possibilità di eliminare i propri demoni, le proprie deformazioni, senza timore di spararsi addosso, di farlo tramite dei rapporti di costruzione catartica, così come Dern potrebbe essere tanto una proiezione catartica della Lost Girl o anche una "creatura" richiamata in un altro mondo per svolgere l'operazione di catarsi e magari - come se non sbaglio diceva Fossali - chiudere il cerchio, che invece Kramp era interessato a rimettere in circolo(scusami il pessimo gioco di parole).
Insomma, non posso dire che IE sia un capolavoro in sé, ma non posso negare che io lo reputi tale e che sono ugualmente scisso, incapace di trovare una effettiva mediazione.
Per me si tratta del film più complesso e sperimentale di Lynch(a parte "Una storia vera", film del tutto atipico per lui!)e forse della summa della sua visione del cinema, un po' come "Bastardi senza gloria"(gran film, ma preferisco IE) per Tarantino, che è una dichiarazione d'amore da parte di quest'ultimo per l'unica forma d'arte in grado di scherzare sulla Storia, esortando lo spettatore a non prendersi troppo sul serio, almeno al cinema.
Molto interessante il confronto che fai tra l'Ulisse di Joyce e INLAND EMPIRE e mi verrebbe voglia di dire qualcosa in merito. Ti rispondo nel post sull'Ulisse.

Luciano ha detto...

@Gino. Devo complimentarmi per le tue numerose letture su IE (e ringraziarti per aver letto i miei post). È comunque sempre utile leggere il punto di vista degli altri che secondo me arricchisce anche nel caso in cui non dovessimo trovarci del tutto d'accordo. Interessante il tuo discorrere su IE: a questo punto penso che mi piacerebbe magari vedere queste tue idee espresse in un post dedicato appunto ai due film di Lynch.

Gino ha detto...

Le letture su IE sono stato frutto della curiosità che ha generato in me il film.
Per me non si tratta del miglior film di Lynch forse(MD è insuperabile, resto di questa idea), però è un'opera che, al di là di ogni possibile critica, sperimenta nuove vie e si pone come un film molto innovativo, che piaccia o meno.
Sarebbe banale da parte mia dire che mi è piaciuto, perché non è secondo me il tipico film che possa piacere o non piacere. E' troppo al di fuori della logica del piacere tipicamente inteso, è più uno stimolo intellettuale a perdersi nella matassa di informazioni, nel bombardamento di sensazioni, per poi cercare di trarne un senso. L'emotività non ha molto a che fare(eccettuate alcune scene fantastiche)e nemmeno il puro stile.
E' a suo modo anche un film grossolano e pretenzioso, se vogliamo, accetto questo tipo di critiche, però non si può negare che sia un film fuori da ogni schema. Dovrò rivederlo a questo punto, tempo permettendo.
C'è un regista cileno, un certo Raoul Ruiz, che mi hanno molto consigliato e che in effetti avrebbe già sperimentato vie analoghe a quelle di Lynch con IE, però non ho ancora visto i suoi film. Appena li vedrò ti farò sapere.
Non conto di sciverci qualcosa du MD e IE perché non saprei cosa dire in realtà. Forse su MD qualcosa pur dirò perché è un film che mi ha emozionato molto.
Devo prima riordinare le mie idee e stabilire se IE - so che quanto sto per affermare contraddice la mia premessa su IE di poco fa - mi piaccia davvero o meno.
Sicuramente mi interessa come ben pochi film.
Poi però ci sono registi che devo approfondire, tra cui Greenaway(ho notato che sei un suo fan^^), Godard, Ruiz, Bene, Lophushanskij e Zulawski.

Luciano ha detto...

@Gino. Be'... comunque sia attendo allora una tua recensione su MD^^. Ruiz, Greenaway, Lopushansky e Zulawski sono registi di tutto rispetto. Bene è un artista e i suoi lavori sono tutti molto interessanti, sicuramente da vedere. Si può dire che sono "cresciuto" con i film di Godard, uno dei miei registi preferiti. Ottime scelte.

Gino ha detto...

Su Lynch è molto difficile che mi cimenterò, se non per grandi linee, eccettuato forse qualche suo film più lineare(tipo "Una storia vera", che per me è un capolavoro).
Prima o poi dovrò cimentarmi nella visione di queste opere, sono ancora a digiuno delle filmografie di questi ed altri registi, compresi quelli storici come Rossellini e Visconti!
Di Godard ho visto solo "Fino all'ultimo respiro" e di CB solo "Hermitage".

Luciano ha detto...

@Gino. Due ottimi film. Di Godard ne ho visti tantissimi, diciamo che è il regista su cui mi mi sono applicato di più nel passato causa tesi. Mi fa piacere che tu sia interessato a vederne altri. Anche i film di Rossellini e Visconti, ovviamente, devono^^ essere visti.

Gino ha detto...

Complimenti per la scelta della tesi su Godard. Purtroppo lo conosco solo per fama(tolto "Fino all'ultimo respiro"), però credo che una tesi su uno dei registi considerati più complessi(ma può l'arte essere definita "complessa"? Questione spinosa...)e sicuramente tra i più importanti beh, deve essere quantomeno un lavoro impegnativo!
Ho diversi suoi film però davvero non so da quale cominciare... oltretutto di molti suoi film purtroppo conosco già la trama dettagliatamente(Pierrot le Fou, in primis), anche se credo che non sia così importante, non essendo Godard Hitchcock o - perdonami l'ignobile accostamento - Bryan Singer.
Da dove mi consiglieresti di iniziare? In molti mi hanno consigliato "Mempris", però credo che essendo interessato ai film post-strutturalisti potrei iniziare da film come "Alphaville", "Week-End", "Passion" o "Prenom Carmen" o ancora "Je ve sous Marie"(perdonami per eventuali errori con il francese, lingua che ignoro totalmente!).
Lo stesso "Pierrot le Fou" mi interessa molto.

Luciano ha detto...

@ Gino. Ti ringrazio ma non so se li merito. Sono stato molto agevolato dai tanti lavori che si trovano sui film di questo regista. Negli anni sessanta andava molto di moda e molti registi si sono ispirati al suo cinema. La mia tesi verteva proprio su Pierrot le fou un film del primo periodo che quando uscì venne considerato un 'opera commerciale. A rivederlo oggi non pare proprio. Vedere quasi tutti i suoi lavori mi ha influenzato molto e pensare che quando ho cominciato a scrivere di Pierrot proprio non sopportavo il film. La tesi è stata una sfida: scrivere senza lasciarsi influenzare (almeno tentare) dal gusto personale. Poi mi sono accorto che avrei dovuto cominciare a guardare i suoi film in un altro modo e allora mi sono reso conto di quanto fossero belli. Se hai visto À Bout de Souffle, allora ti consiglio di proseguire con almeno quattro film del primo periodo (1960-67). Ad esempio Vivre sa vie (Questa è la mia vita), Pierrot le fou (Il bandito delle ore undici), Deux ou trois choses que je sais d'elle (Due o tre cose che so di lei), La Chinoise (La cinese). Da vedere non perché sono i più importanti, puoi vederli anche tutti (e ne vale la pena) ma da una parte devi iniziare. Del secondo periodo (1968-72 - Gruppo Dziga Vertov) forse sono sufficienti One plus one e Tous va bien (Crepa padrone, tutto va bene). Il terzo per me è fonte inesauribile di ispirazione e idee. Mi viene da elencarli tutti ma faccio uno sforzo a indicartene solo alcuni: Passion; Prénom Carmen; Je vous salue, Marie; Nouvelle Vague; Soigne ta droite (Cura la tua destra); Allemagne année 90 neuf zero (Germania anno 90 nove (nuovo) zero); For Ever Mozart. Mi scuso ma chiedendomi di Godard hai toccato il tasto giusto: non resisto. Puoi iniziare anche dal film che ti hanno consigliato (1° periodo): Le Mépris (Il disprezzo) molto bello ma rovinato nella versione italiana. Benissimo iniziare anche da "Alphaville", e "Week-End", (sempre 1° periodo).

Gino ha detto...

Una tesi su Godard secondo me resta comunque particolarmente elebarata ed il fatto che ti sei sforzato per mantenere da pare il tuo parere soggettivo è sicuramente ancora più notevole!
A bout de soufflè molto sinceramente all'epoca che lo vidi(ti parlo più o meno di qualche anno fa, quando di cinema ne capivo ancora meno che oggi)non mi colpì particolarmente, nel senso che mi lasciò un po' freddo, però credo che a vederlo oggi cambierei idea. Tanto per farti un esempio: 8 1/2 di Fellini, visto la prima volta(più o meno in contemporanea a "Fino all'ultimo respiro") mi colpì moltissimo a livello concettuale, però lo trovai noiosetto e un po' "narcisistico", fine a sé stesso.
L'ho rivisto pochi giorni fa e stavolta l'apprezzamento è stato non più concettuale, ma totale, al punto che lo potrei reputare perfino il mio film preferito o comunque tra i primi cinque.
Prima di rivedere "Fino all'ultimo respiro" preferisco però approfondire vedendo altri film di Godard, perché a livello concettuale quel film mi ha colpito moltissimo(poi Belmondo è un attore che reputo molto bravo).
Insomma, è forse questione di "farci il callo", di andare al di là del mero apprezzamento con certe opere, ma di comprenderne la struttura. Il che non equivale a ridurne la portata ad una mera scatola di significato, ma entrare in sintonia con l'opera, essere in armonia con la poetica di un film.
Per questo dico che molti che non hanno apprezzato INLAND EMPIRE non sono entrati a mio avviso nella sua logica, non si sono lasciati trasportare nel suo meccanismo, per quanto IE non sia un film molto convenzionale.
Perciò rivedrò "Fino all'ultimo respiro" dopo che avrò imparato a conoscere un po' Godard.
Ti ringrazio di cuore per i consigli, ne avevo proprio bisogno per orientarmi. Su "Le Mépris", visti i tagli potrei anche sorvolare per un po'. Credo che la mia prima visione sarà o "Questa è la mia vita" o più probabilmente "Pierrot le fou". Purtroppo conosco già la trama di quest'ultimo(come accadde già, ahimè, con A bout de souffle), ma non credo che possa inficiare particolarmente la visione.
Scusa per gli errori di francese.
A presto ^^

Gino ha detto...

Tra l'altro in molti mi hanno consigliato "Passion", "Prenom Carmen" e "Re Lear"(3° periodo)e "Alphaville" per quanto riguarda il 1° perché ultimamente mi sto interessando - da neofita - allo strutturalismo e al poststrutturalismo e mi hanno detto che il Godard dell'ultimo periodo riprende molto certi discorsi sul linguaggio inaugurati da alcuni strutturalisti.
Poi però credo che inizierò da "Pierrot le Fou" e "Questa è la mia vita".

Luciano ha detto...

@Gino. Benissimo. Non vedo l'ora di leggere qualcosa o almeno conoscere il tuo punto di vista sul cinema di Godard.